Ucraina. Come si spiegano le diserzioni di massa dai fronti di guerra

di Fosco Giannini* - FuturaSocietà

La parola “patria” fu usata per la prima volta, in senso moderno, da Machiavelli nel 1527, mentre “patriota” (patriote) proviene dalla Rivoluzione francese e il senso profondo era quello di essere consustanziale, non solo solidale, alla Repubblica e al giacobinismo. Patria deriva da “patrio” (padre) e indica la terra di provenienza, quella dei padri, della nascita, della memoria, il luogo collettivo di una storia profonda, di un’appartenenza. Nella patria convivono in un “unicum” differenze di razza, di ceto sociale, di sesso. Nazione ha un significato moralmente molto meno denso e invece più identitario; la nazione ingloba per unità statuale, per una stessa lingua, per stessi interessi. Per questa differenza dalla concezione di patria la concezione di nazione può scivolare, debordare verso il nazionalismo. I partigiani italiani si sentivano e si autodefinivano “patrioti”, mentre i repubblichini agli ordini del Duce “nazionalisti”. Per i partigiani, anche dopo il 1943, l’Italia era la patria, da liberare, mentre per i repubblichini, con il Paese diviso, l’Italia non era più patria, ma patria, seppur ridottissima, era solo la Repubblica Sociale di Salò. Per il Partito Comunista della Federazione Russa la Russia è la patria da liberare dal neocapitalismo postsovietico e, in questa lotta, i comunisti russi sono patrioti. Lo stesso vale per il Partito Comunista Portoghese: liberare il Portogallo dalla Nato e dall’Ue trasforma i comunisti portoghesi in patrioti.

Tutto ciò per affrontare meglio, con più cognizione di causa, la sorprendente (o no?) questione del continuo rifiuto di massa, vasto e continuo, da parte sia di tantissimi soldati che di cittadini ucraini arruolati – vecchi e giovani –, di combattere contro l’esercito russo. Nell’essenza, un rifiuto di massa della concezione di patria e di patriottismo, da parte degli ucraini mandati in guerra contro l’Armata Rossa, un rifiuto quale base materiale (“spirituale”) della fuga dal fronte e della diserzione. Un rifiuto che, con tutta probabilità, la dice lunga sull’“impossibilità” che l’Ucraina fascista di Zelensky e “agente” della Nato, degli Usa e dell’Ue in quell’area del mondo, ha avuto e ha di farsi patria per i propri soldati e coscritti.

Perché asseriamo ciò?

Asseriamo ciò facendo nostre e divulgando le notizie (che ormai giungono, uguali, da tante e diverse fonti, da tanti “media” del mondo) su ciò che sta accadendo sul fronte ucraino di guerra.

Sin dal mattino del 24 febbraio 2022, inizio dell’Operazione Speciale russa, Zelensky, intuendo o ancor meglio sapendo precisamente qualcosa di molto importante e negativo, promulgò una legge marziale che vietava categoricamente l’espatrio degli uomini in età compresa tra i 18 e i 60 anni: la guerra non era ancora iniziata e la paura, da parte del governo fantoccio di Kiev, di una vasta diserzione spinse alla scelta della legge marziale, cioè alla pena di morte per coloro che non si fossero recati al fronte. Il concetto e lo spirito di patria certo, sin dall’inizio, non muoveva né l’esercito né il popolo ucraino.

Dal 24 febbraio 2022 sino ad oggi, in una lunga sequela di diserzioni e tradimenti, tutto è accaduto:

– i militari ed i coscritti ucraini hanno tentato continuamente, e tuttora tentano, di fuggire a nuoto nei fiumi ucraini gelati che portano al di là delle frontiere. Tanti, tantissimi sono stati ritrovati, blu nella loro morte terribile;

– centinaia hanno cercato e ogni giorno ancora tentano di fuggire dall’Ucraina e dal fronte nascosti in minibus col doppiofondo, corrompendo e pagando sino a 10.000 euro i contrabbandieri dei Carpazi. La stampa internazionale ci racconta che non passa giorno che le guardie di frontiera ucraine non scoprano e imprigionino (o fucilino) i renitenti alla leva, sempre più numerosi;

– i luoghi di più alta corruzione, al fine di evitare il fronte e fuggire dall’Ucraina, sono stati e rimangono i centri di reclutamento regionali, dove con laute bustarelle i mancati eroi ucraini pagano i finanzieri per ottenere certificati di false malattie, falsi handicap, false paternità, false famiglie numerose da mantenere, false competizioni sportive all’estero per gli atleti, in un carnevale così grottesco da far intervenire, più e più volte, Zelensky stesso, che ha sostituito generali, comandanti, responsabili dei distretti, ha urlato al cielo, minacciato di morte e tacciato i disertori di alto tradimento: tutto invano, come se, appunto, privi del senso della patria per cui poter combattere e morire, soldati e coscritti, giovani e vecchi, operai e intellettuali altro non potessero pensare, altro non hanno pensato e pensino che alla fuga;

– altissimo è, peraltro, il numero dei cosiddetti “imboscati”: 650mila ucraini in età di leva, di guerra, sono riusciti a fuggire all’estero e rappresentano oltre il 10% di tutti i profughi ucraini in Europa, un numero altissimo di disertori che stride profondamente con il progetto che negli ultimi mesi aveva cercato di attuare il capo delle forze armate appena licenziato da Zelensky, Valery Zaluzhny, che puntava ad un nuovo arruolamento, in questi primi mesi del 2024, di 500mila soldati per rimpiazzare i veterani al fronte, oramai stanchissimi, consumati, senza più speranza, con la morte al fianco e segnati ogni giorno dal desiderio della diserzione e della fuga;

– in queste ultime settimane, in questi ultimi giorni (forse perché il senso della sconfitta ormai incombe pesantemente sull’Ucraina e persino la Nato sembra distogliere lo sguardo da questa area geopolitica per interessarsi, con già grande dispendio di mezzi militari e di uomini, sui Paesi Baltici, sempre in funzione antirussa) numerosissimi sono stati i casi di tentativi di fuga, da parte di ancora imberbi coscritti, attraverso il fiume Tisa, confinante con la Romania, già vasta terra di disertori ucraini. Alcune foto di agenti che fermano, nella notte e sulle acque gelide del Tisa, ventenni “imbarcati” su salvagenti e battellini gonfiabili, sono riuscite ad uscire dall’Ucraina e raccontare al mondo una tragica realtà. Come scrive persino il «Corriere della Sera» (certo, il più lontano da Putin!) dello scorso 14 febbraio, diversi giovani sono stati ritrovati morti anche nelle acque del Pruth, il fiume tributario del Danubio;

– lo scorso 6 febbraio molti giovani coscritti, vestiti (mascherati) da sciatori, alpinisti, ciaspolatori, hanno tentato, invano, di superare le nevi al confine con l’Ungheria. Fatti prigionieri. Poi fucilati?

– lo stesso 6 febbraio (ormai è un esodo) due disertori hanno tentato la fuga nascosti nel doppio fondo di un disastrato minivan Tavria, dopo aver corrotto un autista con 9mila euro. Anch’essi presi dalla polizia ucraina. Legge marziale?

– lo scorso 7 dicembre – poiché è ormai così vasto il fenomeno della diserzione, anche preventiva, e tanta è la disperazione e l’impotenza del governo – Zelensky dette l’ordine alla polizia di intervenire di sorpresa – durante le ore tarde della sera, a Kiev, Odessa, Dnipro e Leopoli – nelle palestre, nei centri benessere, nei ristoranti, nei bar, nelle discoteche alla ricerca di giovani che avrebbero dovuto già essere al fronte ma in verità stavano passando le ultime ore in Ucraina prima del tentativo di fuga.

Certo è che i 400mila soldati e coscritti ucraini che Zelensky ha già mandato alla morte sui fronti di guerra, al fine non certo romantico e popolare di corrispondere al progetto Usa, Nato e Ue di trasformare l’Ucraina in una immensa base militare Nato ai confini della Russia e in posizione di guerra contro la Russia, non ha aiutato alla costituzione di un sentimento patriottico capace di accettare e sostenere il sacrificio della guerra contro l’Armata Rossa. Ma ancor più, crediamo, ciò che ha contribuito alla diserzione di massa e al rifiuto di “sentire” l’Ucraina di Zelensky e del Battaglione Azov come patria, è stato l’intero progetto filoimperialista di un’Ucraina sorta e segnata dal colpo di stato di piazza Maidan guidato da Washington, dalla Nato e da Bruxelles. È forse accaduto che nell’animo e nella coscienza più profonda di tanta parte del popolo ucraino, lo “strappare” l’Ucraina – la patria, appunto – dalla propria storia, dalla propria cultura e dal proprio mondo, anche filorusso, per un processo accelerato e violento di totale e subordinata occidentalizzazione, abbia prodotto un sentimento di forte alienazione e contrarietà al “metodo” generale filoimperialista. E che la diserzione di massa dai fronti di guerra possa persino trasformarsi in una rivolta popolare contro l’attuale governo fascista di Kiev.

La storia di quella parte del mondo ce lo ha ampiamente dimostrato: quando la patria “si sente” e difenderla è un imperativo morale categorico, un popolo, come fece quello sovietico, può convintamente ed eroicamente morire, come morì e vinse, contro le orde naziste. Zelensky dovrà chiedersi se l’Ucraina svenduta alla Nato, per chi deve combattere e morire, è patria. Poiché dall’ondata alta e di massa dei tradimenti non sembra.

* Coordinatore nazionale MpRC

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