Signor Trump, a Cuba c'è molta più democrazia che negli Stati Uniti



di Fabrizio Verde

In occasione di un incontro a Miami con esuli cubani, il presidente statunitense Donald Trump, ha annunciato di voler cancellare gli accordi raggiunti tra l’amministrazione Obama e il governo di Cuba. Trump ha affermato di voler mostrare «la vera natura del regime castrista».

Il refrain è sempre lo stesso: a Cuba, così come nel Venezuela bolivariano, vige una brutale dittatura che opprime il popolo. Infatti, per un vecchio retaggio ideologico risalente ai tempi della Guerra Fredda, si tende a far collimare perfettamente la democrazia con il regime liberal-capitalistico.

A causa di questa narrazione distorta, ogni sistema politico che si discosti dai classici canoni liberali, viene bollato senz’appello come autoritario, antidemocratico o dittatoriale, a seconda delle esigenze ideologiche del momento. Emblematico in tal senso è il caso di Cuba (democrazia sostanziale), che viene indicata come una sorta di grande lager a cielo aperto. Uno stato «totalitario» – concetto indefinito ideato per attaccare l’Unione Sovietica di Stalin, ma in realtà applicabile solo ai regimi fascisti del secolo scorso – dove il Partito Comunista, in quanto partito unico – vera e propria bestemmia per le democrazie liberali – monopolizzerebbe l’intera società. In un’epoca segnata da un deficit democratico enorme, proprio in quei paesi dove vengono lanciate accuse e scomuniche (Europa e Stati Uniti d’America in primis) e i bisogni dei popoli vengono calpestati a vantaggio delle élite finanziarie, siamo in presenza di un regime sinceramente democratico? Gli Stati Uniti sono davvero maggiormente democratici rispetto a Cuba?

Democrazia sostanziale: il regime vigente a Cuba. «Democrazia per me significa che innanzitutto i governi operino intimamente vincolati con il popolo, nascano dal popolo, abbiano l’appoggio del popolo, e si consacrino interamente a lavorare e a lottare per il popolo e per gli interessi del popolo. Per me democrazia implica la difesa di tutti i diritti dei cittadini, fra essi il diritto all’indipendenza, il diritto alla libertà, il diritto alla dignità nazionale, il diritto all’onore; per me democrazia significa la fraternità fra gli uomini, l’uguaglianza vera fra gli uomini, l’uguaglianza delle opportunità per tutti gli uomini, per ogni essere umano che nasce, per ogni intelligenza che esiste». Il pensiero del Comandante Fidel Castro sul concetto di democrazia – tratto dal libro Elecciones en Cuba: farsa o democracia? – evidenzia plasticamente le differenze che intercorrono tra il sistema rappresentativo liberale (democrazia formale) e quello socialista cubano (democrazia sostanziale). In base all’assunto sopra citato, a Cuba, dopo la vittoriosa Rivoluzione, si è iniziato a edificare il nuovo Stato socialista, basato sulla democrazia sociale e sul rafforzamento della base popolare. Partendo dall’uguaglianza come elemento fondante la nuova società. Passaggio essenziale, quest’ultimo, verso l’approdo a una forma superiore di democrazia. D’altronde, come ammesso anche da politologi e costituzionalisti di orientamento liberale, è impossibile parlare di democrazia quando si è in presenza di forti disuguaglianze. I detrattori a questo punto chiederanno: vi può essere democrazia senza pluripartitismo? Bisogna anche in questo caso guardare al sistema, senza le lenti deformanti del liberalismo. Il ruolo del Partito Comunista a Cuba, non è da intendersi come in Occidente. Il Partito ha ruolo direttivo, di coesione e difesa delle conquiste della Rivoluzione. Come specifica l’articolo 5 della Costituzione che definisce il partito «avanguardia organizzata della nazione cubana». E inoltre non partecipa, al contrario di quanto avviene nelle democrazie liberali, alla contesa elettorale. Dove il voto è libero, non obbligatorio, al contrario di quanto avviene in diverse parti del mondo.

Il suffragio universale a Cuba, nel solco della teoria marxista e leninista, costituisce solamente il punto di partenza nel processo di democratizzazione dello Stato e non l’arrivo come nella dottrina liberale. L’essenza del socialismo sta nel rivoluzionamento dei rapporti economici, nell’emancipazione sociale delle masse popolari.

Il regime liberale: una democrazia solo formale. Come si affermava in precedenza, viene definito democratico, tout court, ogni sistema parlamentare liberale, basato sul pluripartitismo, la competizione, e la «compravendita» del voto. Un mercato del consenso, sempre più falsato da sistemi elettorali maggioritari che vengono fatti passare come razionalizzanti il voto, quando in realtà, lo scopo recondito è quello di coartare le scelte dell’elettorato in modo da dirottarle verso il centro dello scenario politico. Luogo notoriamente presidiato dai cosiddetti «moderati», di norma esponenti dei ceti sociali medio-alti. Una sorta di canalizzazione della volontà popolare, che permette ai ceti dominanti di restare al potere, arginando la rappresentanza di chi potrebbe andare a destabilizzare il sistema. I restanti sistemi, di solito di tendenza socialista, progressista o semplicemente antimperialista, vedi Cuba, Cina, Russia, Iran, Venezuela o Ecuador giusto per citare qualche nazione a caso, invece, vengono grossolanamente racchiusi nell’indistinto campo delle dittature, o peggio ancora del totalitarismo. D’altronde, tornando al sistema rappresentativo liberale, è tutt’ora valido quanto affermò Lenin nell’ormai lontano 1917: «La democrazia parlamentare è il miglior involucro per il capitalismo». Quello toccato da Lenin è il tasto giusto per capire come dentro il guscio liberale vi sia il capitalismo con tutte le sue contraddizioni irrisolte: disuguaglianze crescenti, esclusione sociale, sfruttamento dell’uomo sull’uomo sempre più intensivo, in modo particolare dopo la cancellazione del compromesso keynesiano e il definitivo smantellamento del welfare state. L’implosione del blocco socialista, ha inoltre palesato, con evidenza crescente, come il capitalismo liberato dalla cosiddetta concorrenza di sistema abbia potuto dare libero sfogo ai suoi istinti peggiori. A questo punto è abbastanza chiaro come il regime liberale, proclamato democratico tout court, si risolva in una serie di “universali procedurali”, sostanzialmente svuotati, per l’appunto esclusivamente formali. Architettura istituzionale congegnata appositamente per celare dietro le sbandierate libertà, un potere in realtà oligarchico, dominato da potenti lobby, imprese economiche e media, di segno fortemente classista. Siffatto sistema politico è stato ben inquadrato dal politologo britannico Colin Crouch, che utilizza il termine postdemocrazia per descrivere quei sistemi politici – liberali – formalmente regolati da norme democratiche che vengono, però, svuotate dalla prassi politica. «Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato – scrive il politologo nel suo libro «Postdemocrazia» – condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall’integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici».

A questo punto possiamo affermare, senza tema di smentita, che Cuba è molto più democratica degli Stati Uniti d’America.

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