Recensione – “The Return of the Swallows” di Maxime Vivas e Thérèse Maisonhaute

di Giulio Chinappi

The Return of the Swallows (Anteo Edizioni, 2022) è un breve diario di viaggio redatto da Maxime Vivas e Thérèse Maisonhaute, una coppia francese, che racconta la propria esperienza nella regione cinese dello Xinjiang, smentendo i numerosi luoghi comuni che si sentono sui mass media occidentali.

Ignoto al di fuori dei ristretti circoli accademici dei sinologi fino a qualche tempo fa, lo Xinjiang è divenuta la regione cinese più discussa dai media occidentali negli ultimi anni, dopo che ha avuto inizio la massiccia diffusione di notizie false circa le politiche attuate dalla Cina per reprimere le minoranze etniche, in particolare quella degli uiguri, popolazione prevalentemente di religione musulmana stanziata in quest’area.

Le dicerie sullo Xinjiang sono state smentite numerose volte sia da fonti ufficiali cinesi che da accademici che hanno dedicato il proprio tempo allo studio dei numeri e della realtà locale. Per chi non volesse cimentarsi in lunghe letture ricche di statistiche, invece, The Return of the Swallows (Anteo Edizioni, 2022) rappresenta un’ottima alternativa per capire di più la realtà dello Xinjiang squarciando il velo di menzogne con il quale i media occidentali hanno occultato la verità.

Il testo, il cui titolo tradotto in italiano vuol dire “Il ritorno delle rondini” è un breve e conciso diario di viaggio redatto dal giornalista francese Maxime Vivas e da sua moglie, Thérèse Maisonhaute, che hanno avuto l’occasione di soggiornare nello Xinjiang e di toccare con mano il contesto di questa regione. Gli autori raccontano la propria esperienza personale, ma allo stesso tempo permettono al lettore di conoscere il contesto storico e culturale dello Xinjiang a partire dalla nascita dei movimenti estremisti islamici nella regione.

Nel 1990, il Partito Islamico del Turkestan orientale ha lanciato una rivolta nella cittadina di Baren all’insegna della creazione di uno Stato islamico indipendente annesso al Turkestan occidentale. Successivamente lo abbiamo chiamato Mito (Movimento Islamico del Turkestan Orientale) e Pit (Partito Islamico Turco). In seguito, le rivolte e una serie di attacchi terroristici hanno continuato a intensificarsi, seguiti inevitabilmente da controlli più severi” (p. 8).

Questo contrasta con le fake news che vengono diffuse dai media occidentali, che parlano di un’indiscriminata repressione della popolazione musulmana da parte del governo cinese: “Alcuni siti web, giornali, stazioni radio, televisioni, politici, sinologi, ricercatori ed esperti pubblicizzano notizie false sullo Xinjiang, tendendo a trasformarsi in un movimento globale. […] Hanno iniziato a pubblicizzare false informazioni sensazionaliste senza verifica, e rapidamente hanno fermentato e trasformato queste opinioni false in un evento apparentemente reale” (p. 11).

Al contrario, la risposta del governo cinese ha riguardato solamente le cosiddette “tre forze” che minano la stabilità dello Xinjiang, risolvendosi in un grande successo: “Il governo cinese ha messo in atto politiche rigorose per combattere le «tre forze» (forze terroristiche violente, forze di separatismo etnico, forze di estremismo religioso). […] Il governo cinese sta cercando di ridurre la povertà del popolo uiguro attraverso varie politiche, sviluppare l’istruzione e delimitare i confini religiosi, rendendo lo Xinjiang una regione stabile senza che nessuno rinunci alle proprie lingue, culture e credenze” (p. 11).

Gli autori colgono l’occasione anche per criticare la società occidentale, paragonandola a quella cinese. Mentre in Occidente viene sbandierata la parola “democrazia” e si accusa la Cina di essere una “dittatura”, Vivas e Maisonhaute sono rimasti colpiti da quanto hanno osservato nel paese asiatico: “È incredibile come tutti i cinesi in basso o in alto della scala sociale abbiano una certa autorità e capacità. Sono costantemente in brainstorming: discutono in qualsiasi momento e tutti sono liberi di esprimere idee e anche le idee più folli” (p. 20).

Un’altra accusa che viene spesso mossa nei confronti della Cina è quella di essere un grande inquinatore e di non perseguire politiche ambientali adeguate. Mentre l’Europa e gli Stati Uniti si perdono in un inutile greenwashing, “qui l’enfasi è stata posta sull’ecologia, con particolare attenzione alle azioni che potrebbero avere un impatto negativo sul clima regionale e persino globale e quelle che sarebbero utili per la protezione della natura; sono stati compiuti sforzi per frenare l’aumento dell’indice di urbanizzazione e far fronte al preoccupante sviluppo dell’industrializzazione” (p. 22).

I visitatori francesi sono rimasti particolarmente colpiti anche dall’imponente crescita economica che la Cina in generale, e lo Xinjiang in particolare, hanno vissuto in un arco di tempo alquanto limitato, raggiungendo risultati incredibili: “A volte, ci è stato difficile credere che il decollo economico in questa regione sia iniziato a metà del 20° secolo. In effetti, i risultati sono stati visti solo nel 21° secolo o addirittura negli ultimi 10 anni. L’iniziativa «Belt and Road» è stata proposta solo pochi anni fa, ma ha raggiunto i primi risultati nella costruzione di infrastrutture sociali (superstrade, alta velocità da Pechino a Urumqi, stazioni ferroviarie, aeroporti ecc. )” (p. 27).

Tornato in Francia, non ho potuto fare a meno di pensare al fatto che la Cina ha raggiunto un rapido sviluppo in molti campi. La Cina è un paese in ascesa, con molte infrastrutture ed edifici di nuova costruzione, e la maggior parte in meno di dieci anni. In campagna, sono state costruite nuove case con più o meno le stesse caratteristiche ma moderne e confortevoli per sostituire le basse e scomode capanne di terra battuta. Queste nuove case elevano improvvisamente gli abitanti del villaggio che sembravano aver vissuto nel 18° o 19° secolo al 21° secolo. Tale rapido sviluppo non è dovuto solo all’abbondante forza lavoro, ma anche alla volontà politica e alla pianificazione a lungo termine, che sono assolutamente necessarie” (p. 27), si legge ancora nel testo.

Per quanto riguarda lo Xinjiang, gli autori smentiscono l’esistenza di discriminazioni basate sull’appartenenza etnica, anzi descrivono un quadro di convivenza armonica tra le diverse popolazioni minoritarie: “In particolare, alcune storie d’amore per promuovere l’unità delle persone riflettevano principalmente lo splendido scenario dello Xinjiang e la coesistenza multietnica di lunga durata, nonché il suo sviluppo armonioso nella nuova era, che al momento ha un profondo significato politico” (p. 38).

Il giudizio finale dato sulle politiche cinesi nello Xinjiang risulta assolutamente positivo, dando vita a un paragone poco lusinghiero per i paesi occidentali, che hanno perseguito politiche fallimentari per il controllo dell’estremismo religioso: “Il governo cinese nello Xinjiang mira a combattere le «tre forze del male». Durante la nostra visita nello Xinjiang, una guida ufficiale del governo ha mostrato disprezzo per la censura dei media occidentali. Ha detto: “Anche se non sei d’accordo che questo è il modo più ideale di governo, è la lotta efficace contro l’estremismo religioso e il terrorismo. Poiché questi paesi occidentali non sono riusciti a controllare gli estremisti islamici come Francia, Belgio e altri paesi europei, avete fallito tutti”. In effetti, molte delle misure adottate in Europa si sono concluse con un fallimento, sia nell’alleviare la povertà (poiché la soglia di povertà è in aumento in Francia), sia nell’affrontare i problemi delle minoranze etniche. Nel frattempo, la Cina ha ottenuto risultati straordinari nella riduzione della povertà, fornendo un gran numero di nuove scuole, ospedali e aree residenziali, nonché formazione professionale per molti gruppi etnici” (p. 46).

Il libro può essere letto gratuitamente qua

https://www.anteoedizioni.eu/negozio/continenti/the-return-of-the-swallows/

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