J. Stiglitz: "L'euro è sopravvissuto ma a costo della ragione e della democrazia in Europa"


Mentre negli Stati Uniti si registra una timida ripresa dopo la crisi dei subprime che sconvolse il mondo, dall’altra parte dell’Atlantico, scrive Joseph Stiglitz nel suo ultimo articolo su The Project Syndicate, ci sono pochi segnali in tal senso: il divario tra il punto in cui si trova l’Europa e il punto in cui dovrebbe essere senza crisi continua a crescere. Nella maggior parte dei Paesi dell’Unione europea, il Pil pro capite è inferiore al periodo precedente la crisi. Un mezzo decennio perduto si è rapidamente trasformato in un intero decennio perduto. Dietro alle fredde statistiche, ci sono vite rovinate, sogni svaniti e famiglie andate a pezzi (o mai formatesi) mentre la stagnazione – in alcuni posti la depressione – avanza anno dopo anno.
Ma l’Europa non è una vittima. Sì, l’America ha mal gestito la propria economia; ma non ha imposto l’onta degli effetti negativi globali sull’Europa. Il malessere dell’Ue è auto-inflitto, prosegue il premio Nobel per l'economia, a causa di una serie infinita di pessime decisioni prese in materia economica, a partire dalla creazione dell’euro. Sebbene l’intento fosse quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa; e, in assenza della volontà politica di creare istituzioni in grado di far funzionare una moneta unica, i danni non sono terminati.
Coloro che pensavano che l’euro non sarebbe sopravvissuto a lungo si sono sbagliati. Ma, prosegue Stiglitz, i critici hanno ragione su una cosa: a meno che non venga riformata la struttura dell’Eurozona, e fermata l’austerity, l’Europa non si riprenderà. Il dramma dell’Europa è ben lungi dall’essere conclusa. Uno dei punti forza dell’Ue è la vitalità delle sue democrazie. Ma l’euro ha lasciato i cittadini – soprattutto nei Paesi in crisi – senza voce in capitolo sul destino delle loro economie. Gli elettori hanno ripetutamente mandato a casa i politici al potere, scontenti della direzione dell’economia – ma alla fine il nuovo governo continua sullo stesso percorso dettato da Bruxellese, Francoforte e Berlino.
Ma per quanto tempo può durare questa situazione? E come reagiranno gli elettori? In tutta Europa, prosegue Stiglitz, abbiamo assistito a un’allarmante crescita di partiti estremisti nazionalistici, in contrasto con i valori dell’Illuminismo che hanno garantito all’Europa tanto successo. In alcuni Paesi sono in ascesa forti movimenti separatisti.
Ora la Grecia sta ponendo un altro test all’Europa. Il calo del Pil greco dal 2010 è un fattore ben più grave di quello registrato dall’America durante la Grande Depressione degli anni 30. La disoccupazione giovanile è oltre il 50%. Il governo del primo ministro Antonis Samaras ha fallito, e ora, a causa dell’incapacità del parlamento di scegliere un nuovo presidente greco, si terranno le elezioni anticipate il 25 gennaio.
Il partito di opposizione di sinistra Syriza, che si impegna a rinegoziare i termini del “bailout” della Grecia da parte dell’Ue, è avanti nei sondaggi di opinione. Se Syriza vincerà ma non salirà al potere, sarà per la paura di come potrà reagire l’Ue. La paura non è tra le emozioni più nobili, e non darà luogo al tipo di consenso nazionale di cui necessita la Grecia per andare avanti.
Il problema non è la Grecia. È l’Europa. Se l’Europa non cambia – se non riforma l’Eurozona e continua con l’austerity – una forte reazione popolare sarà inevitabile. Forse la Grecia ce la farà questa volta. Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. Ma quanta altra sofferenza dovrà sopportare l’Europa prima che torni a parlare la ragione?

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