Chi guadagna e chi perde nella nuova Guerra Fredda


di Simone Nastasi

Il 5 marzo scorso Qu Xing diplomatico cinese ed emissario di Pechino in Belgio, ha dichiarato all'agenzia di informazione Xinhua, ripresa dal sito di informazione The Brics Post, che “l'Occidente deve finirla con questa mentalità da gioco a somma zero nei confronti della sicurezza internazionale e venire incontro alle esigenze della Russia nella crisi ucraina”.

Proprio nei giorni in cui è finito di nuovo sotto accusa per la morte del dissidente liberale Igor Nemtsov, il presidente Wladimir Putin incassa dunque un altro attestato di vicinanza che arriva dalla Cina, il suo attuale alleato più importante in quella che è già stata definita “la nuova guerra fredda”.

Dal febbraio del 2014, dagli inizi della crisi con l'Ucraina, tra la Russia e il mondo occidentale è iniziato un crescendo di tensioni che sono progressivamente aumentate fino a culminare con il round di sanzioni economiche che l'Unione Europea ha imposto al governo russo dopo l'annessione alla Russia della Crimea. Il mondo è quindi tornato a respirare l'aria dei due blocchi contrapposti: da una parte gli Stati Uniti e i loro alleati storici membri della Nato, dall'altra la Russia, che a differenza dell'Unione Sovietica, ha potuto trovare il sostegno dei Paesi Brics, tra i quali il più importante appare certamente l'appoggio manifestato dalla Cina.
La crisi ucraina ha infatti aperto la strada a quella che è da molti considerata la più grande partita geopolitica del secolo attuale: la sfida tra Washington e Pechino. Un confronto che iniziato nel secolo scorso è cresciuto agli inizi degli anni Duemila con l'ingresso della Cina nel WTO e adesso ha assunto le proporzioni di una contesa a livello globale. Con la Cina che proprio nel 2015 dovrebbe raggiungere il suo obiettivo più ambizioso: scalzare il primato degli Stati Uniti in termini di prodotto interno lordo. Non è un caso allora che a Washington guardino con preoccupazione le notizie che arrivano dal fronte asiatico, in particolar modo quegli accordi di natura commerciale che Mosca e Pechino hanno sottoscritto proprio quando, nel maggio scorso, il regime di Putin sembrava poter crollare da un momento ad un altro. Ha prevalso allora l'astuzia dell'orso russo, per troppo tempo considerato in Occidente un animale politico poco lungimirante, incapace di guardare oltre i confini di quella che una volta era l'Unione Sovietica che invece al momento opportuno, è corso dal dragone cinese per siglare un'intesa commerciale di lungo periodo (38 miliardi di metri cubi annui dal 2018 al 2048 per un controvalore di 400 miliardi di euro), che lo tenga al riparo dagli artigli dell'aquila americana, un'intesa che per il Cremlino potrebbe assurgere ai significati di una vera e propria polizza vita. Con la Cina come alleata, avranno pensato quelli dell'entourage di Putin, gli Stati Uniti, che sono debitori di Pechino per oltre 1300 miliardi e confidano sempre nella capacità dei cinesi di continuare a finanziare il suo debito pubblico, non andranno poi oltre qualche round di sanzioni economiche. E così ad oggi, sembrano essere andate le cose se è vero come è vero che l'amministrazione americana, dopo aver imposto all'UE una tornata di sanzioni economiche che le stesse fonti del Cremlino rivelano avrebbe danneggiato la Russia per 50 miliardi di euro nel 2014, ha voluto defilarsi lasciando che fossero Berlino e Parigi a sedersi al tavolo con Mosca per cercare di trovare un'intesa (il Memorandum di Minsk) sulla crisi ucraina. Se Obama lo abbia fatto per una debolezza sopravvenuta oppure per un calcolo di pura convenienza non è dato sapere, anche se gli ultimi dati sull'export pubblicati dal sito www.stampalibera.com che rivelano un incremento delle esportazioni americane verso la Russia di oltre il 20% indurebbero a pensare che il clima da “nuova guerra fredda” sia convienente più agli Stati Uniti che agli Stati dell'Unione Europea. Questi ultimi escono impoveriti dalle sanzioni inflitte a Mosca anche se i fattori principali del crollo dell'export europeo verso la Russia sarebbero altri, primo tra tutti il crollo del rublo.

Secondo i dati che rivela Il Sole 24 Ore le sanzioni economiche avrebbero pesate sull'export italiano, che avrebbe perso complessivamente 1,2 miliardi di euro, per circa un 5% da imputare al crollo dei prodotti alimentari. Più consistente il calo della Germania che avrebbe visto crollare il suo export verso Mosca dell'8% rispetto all'anno precedente. La scelta della Merkel e di Hollande di voler trovare un'intesa con Putin sulla crisi ucraina non è solo un messaggio politico chiaro per dimostrare una volta per tutte agli Stati Uniti d'America, ma non solo, che l'Europa sta provando a diventare un'entita politica di senso compiuto ma anche una mossa strategica per riattivare le relazioni economiche tra la Russia e gli Stati del Vecchio Continente.

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