Vice direttore Famiglia Cristiana: "L'impero di Washington è impazzito e non sa più che fare"


Di Fulvio Scaglione

Era prevedibile che Russia e Usa, di fronte al disastro della Siria, sarebbero tornati a parlarsi. Troppe, ormai, le variabili che rischiano di finire fuori controllo. E proprio per questo colpisce il dato politicamente più clamoroso, cioè quanto sia ormai impazzito l’impero di Washington.
Ammetto di aver usato il termine “impazzito” pensando più alla maionese che alla psichiatria. Siamo di fronte all’applicazione costante e tenace di una ricetta in apparenza semplice ma che ormai non produce più nulla di commestibile.

Guardiamoci intorno. Partiamo dall’Arabia Saudita, il più fedele alleato in Medio Oriente, dice l’impero. Ha fatto di tutto per far saltare l’accordo sul nucleare siglato tra il Cinque più Uno (Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia più Germania) e ha reagito alle innovazioni in campo energetico (shale oil e shale gas) facendo precipitare il prezzo del greggio per mandare fuori mercato le aziende americane che usano la tecnologia del fracking. Con ripercussioni fortissime non solo in Occidente (le aziende petrolifere e quelle collegate licenziano, mentre gli effetti del calo del prezzo sono ancora marginali nell’economia delle famiglie) ma anche in Medio Oriente: per la prima volta i Paesi del Golfo Persico devono affrontare l’austerità, le tasse, la riduzione del welfare, e non è detto che la botta venga assorbita senza scosse. In più, tornando alla Siria, l’Arabia Saudita muove verso la guerra totale, con una mossa ce pare più subita dagli Usa che concordata.

L’impero e i suoi alleati ribelli

Passiamo alla Turchia. Anche qui l’impero ansima. I briefing del Dipartimento di Stato sarebbero anche divertenti se non fossero preoccupanti. In uno degli ultimi, il portavoce di John Kerry si è affannato a spiegare che la Turchia è un amico e un alleato e che poco importa se gli Usa considerano i combattenti curdi del Pyd (Partito dell’Unione Democratica) degli alleati nella lotta contro l’Isis e i turchi li considerano invece del terroristi. Non importa, dice il portavoce John Kirby, perché “gli amici non vanno sempre d’accordo su tutto”. Ma siamo alle scuole medie o in una guerra? Intanto, i turchi bombardano i curdi del Pyd e convocano l’ambasciatore americano per chiedergli “chiarimenti”. E l’impero non sa che fare, si fa rimproverare da Erdogan e tace. Anche perché sono passate poche settimane da quando il vice presidente Joe Biden è corso ad applaudire la Turchia. E poco più tempo è passato da quando la Nato si è affrettata a varare un programma di protezione del confine tra Turchia e Siria, quello che per anni è servito da punto di transito ai foreign fighters che correvano ad aiutare l’Isis, ai contrabbandieri di petrolio dell’Isis, ai mercanti di armi che rifornivano l’Isis e altri gruppi più o meno islamisti. L’impero protegge chi aiuta i nemici dell’impero?
L’impero, però, fa anche poco per proteggere i suoi amici. I combattenti del Pyd (finanziati, armati e coordinati dai militari americani) sono presi a cannonate dalla Turchia, che li ha esclusi dalle trattative per la pace in Siria di Ginevra, cui pure partecipano gruppi apertamente jihadisti. Qui l’impero tace. E subisce, perché sempre più spesso, sul campo, i curdi combattono con le truppe di Assad e i russi.
Più in generale, l’impero sembra ormai in preda a una formidabile mancanza di lucidità. Si è impegnato in tutte le imprese più devastanti degli ultimi decenni. La guerra in Iraq del 2003, inventata da Bush e Blair. La guerra in Libia del 2011. E’ coinvolto nel modo che sappiamo in Siria. Ogni volta interlocutori diversi, dalla Russia alla Germania, dalla Francia a milioni di pacifisti fino a esperti di ogni genere e grado, hanno messo in guardia dalle conseguenze. Imperterrito, l’impero è andato avanti, con i risultati che vediamo ogni sera nei Tg. Risultati che sono sempre gli stessi: frammentazione, disgregazione, terrorismo. E la strategia si replica anche in Europa: basi Nato a 120 chilometri da San Pietroburgo, scudo stellare in Polonia (2008), rivolgimento in Ucraina, richiamo ai Paesi dell’ex Est che guardano più a Washington che a Bruxelles… Risultato: guerra in Ucraina e Unione Europea a pezzi. Forse così più pronta a firmate il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership)? Come già ai tempi dell’Iraq, anche ora spuntano generali e analisti americani che invocano la partizione della Siria. La Libia, quella, è già in frammenti.
Forse c’è una logica, in questa follia, ma è difficile vederla. Poco ormai funziona tra l’impero e la sua proiezione nel mondo. Resta la potenza, quella sì. Anzi, la superpotenza, l’unica rimasta. Nel 2015 Washington ha stanziato per la Difesa 581 miliardi di dollari. Il che vuol dire che i successivi dieci Paesi, mettendo insieme tutte le loro spese per la Difesa, non arrivano nemmeno vicini a quella cifra. Vuol dire che la spesa militare Usa è quattro volte più alta di quella della Cina. E a questo dovremo aggiungere la partecipazione di maggioranza nella Nato, in cui gli Usa sostengono il 73% delle spese e sono uno dei soli 4 Paesi (con Gran Bretagna, Estonia e Lettonia) che investono nella Difesa più del 2% del Prodotto interno lordo. E poi c’è la potenza finanziaria e tecnologica: il 22% di tutti i brevetti del mondo è registrato negli Usa e ad aziende americane appartengono quasi tutti i brevetti più preziosi e redditizi.
Ma l’impero è impazzito, non sa più che fare. Colpisce alla cieca, e si vede.

*Vice-direttore di Famiglia Cristiana. Pubblichiamo su gentile concessione dell'autore.

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