Il rischio di una selezione avversa per il mercato del lavoro in Italia


di Fabrizio D’Orio
La fuga di cervelli dal nostro paese è una realtà che abbiamo imparato a conoscere in maniera consistente negli ultimi decenni. Infatti, secondo i dati Istat, il numero di cittadini in uscita dall’Italia cresce di anno in anno (aumento circa del 103% dal 2010 al 2014 ). Questo fenomeno ha una conseguenza devastante nel lungo periodo per il nostro paese in quanto rischia di innescare un effetto a catena che potrebbe portare l’Italia ad una situazione nella quale la forza lavoro presente nel territorio sarà sempre meno specializzata, le condizioni di lavoro subiranno un crescendo di peggioramenti e l’uscita dalla crisi socio-economica sarà sempre più difficoltosa o ancor peggio, se non vengono presi tempestivamente degli adeguati provvedimenti, si potrebbe raggiungere un’ulteriore recessione del sistema economico nazionale.
Per comprendere le ragioni di tali affermazioni procediamo per gradi, iniziando col paragonare lo Stato italiano ad un’impresa. Lo scenario che appare è quello di un imprenditore che decide di acquistare gli impianti per la trasformazione diretta delle materie prime in semilavorati, al fine di rimpiegarli nei processi che porteranno al prodotto finito. Tuttavia, una volta ottenuto il semilavorato con le esatte caratteristiche desiderate, l’imprenditore lo cede ad un’altra impresa a titolo gratuito. Ciò sarebbe impensabile all’interno di un’impresa privata, ma è esattamente ciò che accade sugli investimenti in capitale umano nel nostro paese: lo Stato investe miliardi nell’istruzione pubblica e quando il “prodotto” è finito viene esportato in altri paesi senza ricevere in cambio nemmeno un ringraziamento. Ma la colpa potrebbe essere addossata al “prodotto”, che una volta formato decide di andarsene di sua spontanea volontà nell’altra impresa, no? Questa tesi potrebbe far cadere il paragone tra l’individuo istruito ed il semilavorato in quanto l’individuo, a differenza del semilavorato, è dotato di libero arbitrio. Tuttavia, un semilavorato che viene impiegato in maniera inappropriata, non sfruttando appieno le caratteristiche per il quale è stato concepito, che non viene utilizzato per l’innovazione nella produzione, o ancor peggio che viene lasciato in magazzino per anni, non produrrà nuova ricchezza per l’impresa e al contempo subirà una perdita di valore. Questa è esattamente la ragione per cui assistiamo al fenomeno dell’emigrazione: in Italia spesso si percepisce una difficoltà nel trovare un impiego che dia valore alle competenze dei singoli individui e al contempo si ha la sensazione che il sistema legislativo non sia in grado di favorire la connessione tra le idee innovative e la tradizione, facendo venir meno le basi idonee alla formazione di sinergie che possano rappresentare il catalizzatore per far ripartire gli ingranaggi dell’economia.
Ma ciò che rende questa realtà ancora più spaventosa è l’effetto amplificativo che questo fenomeno porta con sé, effetto chiamato in economia “selezione avversa”. Come funziona? Prima di spiegarlo bisogna tenere presente un’altra nozione economica, ovvero quella di “asimmetria informativa”. All’interno di un mercato si ha asimmetria informativa quando una delle due parti ha maggiori informazioni rispetto all’altra, quindi ci sarà una delle due parti che si trova in una posizione di svantaggio nel prendere una decisione. È pacifico che il mondo del lavoro è a tutti gli effetti un mercato, ciò che può essere meno noto è che economicamente è corretto considerare i lavoratori dal lato dell’offerta come “fornitori di forza lavoro” e i datori come “consumatori di forza lavoro”. In tal contesto i datori devono decidere da chi acquistare la forza lavoro, ma si trovano in una situazione di asimmetria informativa, in quanto non conoscono il reale valore di ciascun aspirante; possono solamente presupporre che in un campione vasto (così com’è il lato dell’offerta di forza lavoro oggi in Italia) vi siano soggetti con competenze idonee alle esigenze della società in cerca di dipendenti e soggetti non idonei, ma non è in grado di distinguerli in maniera certa a priori. Ciò comporta che lo stipendio e le condizioni di lavoro che il datore sarà disposto a riconoscere al nuovo dipendente non rispecchieranno ciò che sarebbe disposto a concedere per avere un dipendente adeguato, ma solo una media tra quanto riconoscerebbe alle due tipologie di dipendenti che potrebbe assumere (media ponderata per la percentuale attesa di soggetti idonei rispetto ai non idonei).
Se ipotizzassimo che il datore italiano sia l’unico disponibile ad acquistare il lavoro, la probabilità di assumere un soggetto idoneo dipenderebbe solamente dalla percentuale di idonei rispetto ai non idonei, ma se inserissimo in tale mercato anche i datori di lavoro provenienti dall’estero la situazione cambierebbe. Infatti, se un soggetto idoneo ha la possibilità di scegliere tra più datori a cui poter fornire la propria forza lavoro, sceglierà quello che offre condizioni di lavoro migliori. E cosa accade se i soggetti idonei, consapevoli del loro maggior valore rispetto ai non idonei, trovassero all’estero migliori condizioni? Si sposterebbero verso l’estero!
Però se fosse tutto così logico perché solo una parte dei disoccupati o degli insoddisfatti emigra? La spiegazione sta in ciò che integriamo nel concetto di “condizioni di lavoro”, se lo estendessimo ad un raggio più ampio inserendo la complessiva qualità della vita, potremmo osservare che il trasferimento all’estero è paragonabile ad un sacrificio (o un costo) soggettivo per l’individuo che offre forza lavoro. Tale costo va ad incidere nel suo processo decisionale, diminuendo il valore attribuito alle condizioni di lavoro disponibili all’estero. Come conseguenza più esso appare alto per gli individui in cerca di lavoro e minore sarà la quantità di forza lavoro che si muoverà verso l’estero.
Ma quindi la patria è salva? Non proprio! Come abbiamo detto, i dati attuali evidenziano una forte emigrazione dal nostro paese per motivi di lavoro e, nel nostro mercato del lavoro, ciò implica che i datori di lavoro inizieranno ad avere la consapevolezza che la percentuale di soggetti idonei sarà minore dato l’espatrio. Questo comporta un peggioramento della disponibilità del datore a riconoscere stipendi e condizioni di lavoro adeguati ai soggetti che si vogliono assumere. Ciò a sua volta porta ad un ulteriore aumento delle emigrazioni, a causa del peggioramento della qualità della vita percepita, e quindi una diminuzione del costo del trasferimento. Ripetendo questo processo nel lungo periodo lo scenario che si presenta è quello in cui l’offerta di forza lavoro è formata esclusivamente da soggetti non idonei e la qualità della vita è la più bassa che tali soggetti sono disposti ad accettare per non emigrare a loro volta.

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