I cortei dei “parassiti” in Bielorussia annunciano la prossima “rivoluzione colorata”?


di Fabrizio Poggi

Sembra che stia facendo discreti passi in avanti – dipende ovviamente dal punto di osservazione – l'attesa “rivoluzione colorata” in Bielorussia. Dopo la scaramuccia Minsk-Mosca sul ristabilimento dei controlli confinari nelle regioni russe a diretto contatto con la Bielorussia; dopo la quantomeno sibillina dichiarazione di Aleksandr Lukašenko sulla “fraterna Ucraina che sta lottando per l'indipendenza”; dopo che Minsk ha annunciato di non considerare validi sul proprio territorio i documenti di DNR e LNR riconosciuti invece dalla Russia; dopo il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, ha detto che il grafico di impegni di Vladimir Putin non gli consente di incontrare Aleksandr Lukašenko, in questi giorni in visita privata a So?i; ecco che a Minsk sta prendendo forza l'azione dei cosiddetti “parassiti”.

Secondo la Tass, vari partiti e sindacati bielorussi stanno rinnovando la raccolta di firme (ferme per ora a 80mila) contro il decreto presidenziale che impone una specie di tassa (200 dollari l'anno) a chi non fa nulla e stanno organizzando le forze in diverse regioni del paese in vista di una “Marcia nazionale dei non-parassiti” in programma per il 15 marzo, dopo i cortei del 17 febbraio a Minsk e del 19 a Gomel. Il leader del Partito Civile Unito, Anatolij Lebedko ha inoltre dichiarato che il comitato organizzatore della marcia si sta riversando nella campagna “Non siamo parassiti!”, cui aderirebbero i rappresentanti di 9 partiti e movimenti. Al momento, sembra che appena 55mila bielorussi (circa il 9% di tutti coloro che hanno ricevuto l'avviso di pagamento) abbiano pagato, entro il termine fissato del 20 febbraio, la tassa che dovrebbe servire a finanziare spese pubbliche.

E' così che Sergej Aksenov su Svobodnaja Pressa, rifacendosi anche a recenti dichiarazioni del Ministro della difesa russo Sergej Šojgù a proposito di Paesi come Jugoslavia, Georgia, Iraq, Libia, Ucraina, “in cui hanno vinto le rivoluzioni colorate”, parla della Bielorussia come prossima tappa di tali “rivoluzioni”. Secondo il politologo Sergej Sudakov gli avvenimenti di “Egitto, Macedonia, Tunisia, Ucraina, hanno avuto lo stesso scenario. Si è fatto affidamento sui giovani, attratti per mezzo di internet; non sono mancate “vittime sacrificali” e, naturalmente, i leader che, di regola, sono creature dell'Occidente; il tutto, con scopi apparentemente nobili: democratizzazione, liberalizzazione, diritti umani ecc.”. In tutti i casi, i finanziamenti sono andati a Organizzazioni non governative, o a media “indipendenti”, come era accaduto ad esempio con i canali Spilno.tv o Hromadske.tv in Ucraina e come sta già facendo anche in Bielorussia il medesimo National Endowment for Democracy (NED) per addomesticare i giornalisti locali a propagandare le riforme liberali. Sudakov sostiene che la Bielorussia non sia l'unico paese nel mirino – dopo gli alleati della Russia nei BRICS, si punta apertamente al Venezuela e poi sarà la volta dell'Unione Euroasiatica – e l'esperto militare Vladimir Prokhvatilov vede il pericolo soprattutto nelle ex Repubbliche sovietiche dell'Asia centrale. Ma l'osservatore politico Aleksandr Kurkin vede proprio nella Bielorussia il paese più a rischio, con Lukašenko che, al pari di Janukovi?, spinge in avanti le frange nazionaliste, credendo di poterle agevolmente controllare, senza fare i conti coi loro veri “controllori” anglo-americani.

Comunque sia, le tecniche sono quelle ormai conosciute e ricordate nei dettagli, ad esempio, dal giornalista americano Robert Perry (quello dell'indagine “Iran-Contra” negli anni '80) nelle ricerche esposte su Consortiumnews.com e rammentate nel documentario di Oliver Stone “Ucraina in fiamme”, con la NED e George Soros chiamati a svolgere un lavoro più affinato rispetto alle volgari ingerenze della CIA, basandosi sulla “Ricetta per le rivoluzioni: soldi, media e tecnologie”.



Appare dunque “nell'ordine delle cose” che oggi si proceda a ritmo serrato a quella stessa rivoluzione liberale, bloccando le pagine feisbuc di questo o quell'esponente russo: è il caso del consigliere presidenziale per lo sviluppo di internet German Klimenko; è il caso dell'account ufficiale del canale “Zvezda”, bloccato per un post sulla morte del comandante del battaglione Somalia, Mikhail Tolstykh, “Givi”, che contravverrebbe alle norme di feisbuc; è il caso dell'account della portavoce del Ministero degli esteri, Marija Zakharova, per una foto dell'assassinio dell'ambasciatore russo in Turchia, Andrej Karlov, accompagnata dai versi di una canzone di Vladimir Vysotskij “Non mi piace quando mi sparano alla schiena”.

E altrettanto “nell'ordine delle cose”, sull'altro fronte, che sempre il Ministro della difesa russo Sergej Šojgù annunci la formazione di unità speciali per le operazioni informatiche. Rispondendo alla Duma a una domanda sulla necessità di dar vita a una Direzione per la contropropaganda, il Ministro ha dichiarato che militari addestrati “alle operazioni informatiche sono più efficaci e più forti” e che “la propaganda deve essere intelligente, all'altezza ed efficace”. Non bisogna dimenticare, chiosa il sito del PCFR, che “proprio l'utilizzo degli apparati per le guerre informatiche ha portato alla creazione dello Stato dell'Ucraina” golpista.

Così come non si può dimenticare come due anni fa un altro premio Nobel, quella volta per la letteratura, fosse andato casualmente alla bielorussa Svetlana Aleksievi?, che ringraziava con l'omelia su “Russia e Bielorussia, in cui il popolo per 70 anni è stato ingannato e poi ancora per 20 anni derubato” e in cui “sono cresciuti individui molto aggressivi e pericolosi per la pace”, a differenza dell’Ucraina, di cui Svetlana ricordava di essere “stata a Majdan e” aver “pianto di fronte alle foto della “Centuria celeste”.

I prossimi mesi, se Aleksandr Lukašenko passerà, nei media nostrani, da “ultimo dittatore d'Europa” a “difensore della sovranità nazionale”, ci diranno di che colore si tingerà la Bielorussia.

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