Il disgelo tra Mosca e Washington può (forse) cominciare dalla Siria. Alberto Negri

di Alberto Negri, Il Sole 24 Ore*

Russia e Stati Uniti si uniranno in un fronte anti-terrorismo come aveva indicato Trump durante la campagna elettorale? Le tensioni tra Mosca e Washington sull’Ucraina, l’annessione della Crimea, i missili russi in Europa dell’Est, lo schieramento della Nato sul fianco orientale, e le sanzioni, sembrano per il momento escluderlo ma la realtà dei fatti dice che l’America e la Russia hanno qualche obiettivo convergente, in primo luogo fare fuori l’Isis e una galassia jihadista che organizza attentati ovunque e ispira i lupi solitari entrati in azione in Occidente. Casomai è sul come e soprattutto sul dopo che le posizioni possono entrare in conflitto, quando ci sarà da rifare la mappa mediorientale. Tenendo presente che mentre Trump è stato bollato come un islamofobo, Putin deve fare i conti con il fatto ineludibile che decine di milioni di cittadini russi sono musulmani e deve rafforzare la sua alleanza con il barbuto leader ceceno Ramzan Kadyrov, un musulmano che è arrivato a inviare truppe ad Aleppo a caccia degli stessi jihadisti ceceni.

È evidente che la Russia non lascerà mai la Crimea mentre Mosca sta tentando di tornare, con ogni mezzo, ad avere una sfera d’influenza all’Est e nei Balcani. Così come gli Stati Uniti non rinunceranno all’obiettivo di avere un predominio globale. Non ci sono per il momento le circostanze che possano indurre gli Usa e la Russia a diventare dei partner strategici per stabilizzazione. Inoltre la diffidenza reciproca è forte: gli americani non pongono nessuna fiducia in Putin e Putin pensa che gli Usa incoraggino le rivoluzioni “colorate”, un timore rafforzato oggi dalla nuova primavera russa del dissenso. Allo stesso tempo non può sfuggire che adesso Mosca potrebbe sfruttare l’attentato di Pietroburgo per ridurre al silenzio i dissidenti.

I giochi sono complicati ma ci sono delle opportunità per Mosca e Washington di cooperare contro il terrorismo e il jihadismo.

Ne avrebbe un beneficio anche l’Europa.

La Siria può diventare il campo per sperimentare questa collaborazione che evidentemente avrebbe riflessi positivi sulla sicurezza europea, assai scoperta sul fianco orientale e con una Turchia sempre meno affidabile come alleato della Nato. Mosca è entrata in campo nel 2015 per salvare, in alleanza con l’Iran sciita, il regime di Damasco, antico protetto dei russi sin dai tempi dell’ascesa al potere negli anni Settanta di Hafez Assad, il padre di Bashar. Gli Stati Uniti, in accordo con le potenze arabe ed europee, per alcuni anni hanno ripetuto come un mantra che il clan alauita doveva abbandonare il potere ma in realtà adesso hanno cambiato rotta.

Da qui si può ripartire. Tanto per cominciare Assad può restare al suo posto, almeno per un certo periodo di tempo. È questo il messaggio recapitato prima dall’ex segretario di stato americano Rex Tillerson a Erdogan e poi riaffermato esplicitamente dall’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Nikki Haley, secondo cui l’uscita di scena di Assad non è più tra le priorità di questa amministrazione. Inoltre i curdi siriani sono alleati sul campo sia dei russi che degli americani nell’assedio di Raqqa, la capitale di al Baghdadi. Il disgelo tra Mosca e Washington può cominciare da qui, senza naturalmente farsi troppe illusioni.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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