Duterte vola da Putin, l'Isis conquista la sua prima città nelle Filippine


di Omar Minniti

Sembra esserci un destino comune per i governi sovrani che, attraverso vie differenti, tentano di affrancarsi dal giogo dell'imperialismo Usa e rafforzare i legami con Mosca e Pechino. Prima o poi si ritrovano in casa una "rivoluzione colorata", oppure devono fare i conti con il cancro del terrorismo, prevalentemente di matrice jihadista.



Le Filippine non si sottraggono a questa regola. Il presidente Rodrigo Roa Duterte è, sin dal giorno della sua elezione, in aperta polemica con Washington ed autore di dichiarazioni che spesso trascendono il limite del politicamente corretto. Prima contro Obama (memorabile il "figlio di p.....a, te la farò pagare!") ed ora contro Trump. Lo scorso anno, durante un forum con le autorità cinesi, Duterte annunciò la "separazione dagli Stati Uniti, sia militare sia economica".

Dalle parole incandescenti si passa ai fatti. Il presidente filippino vola a Mosca ed incontra Putin. Non è una visita diplomatica di routine. I due discutono di importanti accordi di cooperazione commerciale, industriale e perfino militare. Sì, perché come ha dichiarato Duterte, senza peli sulla lingua: "sono venuto a convincere Putin a darci le armi, dei razzi di terra che possono colpire con precisione". I nemici dichiarati del leader filippino non sono soltanto i trafficanti di droga, ma anche i terroristi. "Noi e la Russia abbiamo i medesimi problemi di sicurezza. Loro sanno come affrontarli. Per mantenere l’equilibrio geopolitico nella regione, avevamo ordinato armi dagli Usa, ma ci hanno risposto che da noi c’è un problema di diritti umani e, dunque, ho deciso di non aver più a che fare con loro".

Duterte chiede aiuto al Cremlino per affrontare gli jihadisti interni. E la risposta di quest'ultimi non si fa attendere. Con un tempismo perfetto, proprio mentre i due presidenti si stringevano le mani, i separatisti islamisti di Mindanao lanciano un'offensiva senza precedenti negli ultimi anni. Il cosiddetto "Gruppo Maute", noto anche come Daulah Islamiyah, attacca le postazioni dell'esercito e conquista perfino una città. Seguendo un copione già visto in Siria ed Iraq, il capo della stazione di polizia subisce la decapitazione e si colpisce la comunità cristiana: in una chiesa vengono rapiti e tenuti in ostaggio un prete ed un gruppo di fedeli. I tagliagole proclamano la nascita dell' "Emirato di Lanao".

Il "Gruppo Maute è a tutti gli effetti una filiazione dell'Isis ed alleato di Abu Sayyaf, altra sanguinaria fazione salafita operante nell'area. Va detto che la guerriglia islamista contro le autorità centrali di Manila non è una cosa nuova. Per lungo tempo, la forza egemone in questo arcipelago di isole nel sud delle Filippine, abitato da circa 5 milioni di musulmani (il 5% della popolazione) è stata il Fronte di Liberazione Moro, con venature più nazionaliste che integraliste religiose. Con i suoi leaders, i governi filippini hanno tentato più volte la via degli accordi di pace. Ma, in questi anni, movimenti armati sempre più radicali hanno preso il sopravvento, scalzando la vecchia direzione "moderata". Lo stesso Fronte Moro è stato oggetto di attacchi da parte della nuova generazione scalpitante di jihadisti, il cui punto di riferimento ideologico esplicito è l'Isis.

Adesso, per combattere questa minaccia, Duterte scarica gli Usa ed invoca l'aiuto - e soprattutto le armi - di Putin.

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