Tre anni di aiuti al regime corrotto di Kiev: cosa ha ottenuto l'Italia in cambio?



di Giuseppe Acciaio

La BERS (Banca europea per la ricostruzione e sviluppo) ha deciso che il 27 settembre terrà la riunione straordinaria del Consiglio a Kremenchuk (Poltava). Saranno presenti anche i rappresentanti italiani e verrà discussa la questione dell'assistenza economica e degli investimenti dei paesi donatori della BERS (compresa l'Italia) nell'economia Ucraina.


Considerando la quantità degli aiuti esteri che l'Ucraina riceve sotto forma di crediti, prestiti e diverse concessioni economiche che fluiscono nelle casse statali dal 2014, è arrivato il momento di tirare le somme di questa politica di aiuti (vivamente sostenuta dal principale partito di governo in Italia, il PD).


La risposta economica del Governo di Poroshenko è molto deludente. Molte delle Banche italiane hanno preferito abbandonare la nave che stava affondando, colpita da una fortissima crisi economica scatenata dopo l’inizio della guerra in Donbass. Il gruppo Bancario Italiano per eccellenza, l’Unicredit, già a settembre del 2016 ha venduto il 100% delle proprie azioni alla banca UcrainaUkrsotsbank, scappando così a gambe levate dal mercato Ucraino. Ha sentito la crisi in modo meno doloroso un’altra banca - “Intesa Sanpaolo” che possiede in Ucraina “Pravex Bank” e spera di venderla già dal 2014.


La nicchia che si è andata a creare è stata tempestivamente occupata dallo Stato Ucraino, che nel 2016 ha nazionalizzato la più grande banca privata in Ucraina - “Privatbank” sottraendola all’oligarca e oppositore Kolomoisky.


Può sembrare strano, ma Euromaidan che ha sempre cercato di portare il Paese verso lo sviluppo e verso l’Europa non è riuscito nel suo intento. In poco tempo il Paese è tornato indietro negli anni cadendo nel degrado. Gli investitori esteri (specialmente le banche) preferiscono abbandonare il mercato poco conveniente, la monopolizzazione statale del capitale sta prendendo piede rapidamente. L’aggressività del mercato ucraino nei confronti degli investitori esteri non si limita solo a respingere i loro capitali dal mercato interno, le aziende nazionali cercano di scavalcarli anche all’estero. Qualche tempo fa il brand italiano Ferrero ha vinto la causa contro il suo fratello-gemello ucraino Rochen, appartenente al presidente Poroshenko che ha plagiato il prodotto italiano vendendolo come proprio sul mercato Lituano.

Questo processo è durato diversi anni durante i quali gli ucraini hanno continuato a produrre e commercializzare i prodotti che a loro non appartenevano.


La forte dissonanza tra le dichiarazioni ucraine e quelle europee e il suo carattere asiatico diventa sempre più marcato. Non lo notano solo alcuni rappresentati politici, come ad esempio il Presidente della Camera italiano Laura Boldrini, che non si è vergognata di stringere la mano a Roma al rappresentante del parlamento ucraino Andrij Parubij che solo qualche tempo fa ha capeggiato l’organizzazione neonazista UNA-UNSO.


Allo stesso tempo i problemi ucraini non si sono limitati alla crisi economica. Ciò che scuote il Paese da tempo si può scoprire anche leggendo le principali testate dei quotidiani; ogni settimana appaiono articoli scottanti sulle automobili esplose, uffici incendiati, boicottaggio delle banche estere e diversi conflitti a fuoco che scoppiano nel Donbass, tra polizia e militari. Il problema reale è la libera distribuzione delle armi da parte del governo ucraino, che vengono regalate alle organizzazioni volontarie nazionaliste, ma una volta sciolte tali organizzazioni le armi restano in possesso dei propri ex membri e vengono utilizzate per attività criminali.


Il Governo italiano ogni anno spende alcuni milioni di euro per fornire gli aiuti alle vittime della guerra in Donbass, ma dato l’alto tasso di corruzione la maggior parte di questi fondi non arrivano mai ai diretti destinatari. Così secondo i calcoli svolti da Ernst & Young nel mese di aprile del 2017, l'Ucraina ha ottenuto il primato nella lista dei 41 paesi dove viene fatto il monitoraggio; nel 2016 attivisti per i diritti umani “Trasparency International” hanno collocato l'Ucraina al 131 posto tra 176 paesi per alto livello di corruzione. Lo stesso ente nel 2007 poneva l'Ucraina al 118 posto tra 179 paesi. La situazione in questi ultimi anni è notevolmente peggiorata, proprio quando il governo come non mai ha intrapreso un percorso volto a sopprimere la corruzione, parlando in continuazione della creazione dei nuovi enti volti a regolarizzare la situazione. Ma purtroppo tali enti al posto di lottare contro la corruzione, cercano di dividere i dividendi per i propri protettori politici, come ad esempio il Presidente Poroshenko, che grazie a questi soldi si candiderà nuovamente alle elezioni nel 2018.


Si può certamente affermare che l'Ucraina negli ultimi tre anni non si è per niente avvicinata all’Europa, anzi sta diventando la seconda Jugoslavia: la gestione incontrollata del territorio , l’aumento della corruzione e del banditismo , l’aumento del traffico delle armi e droga , l’eliminazione della concorrenza sconveniente alle politiche economiche del Presidente.


A questo punto sorge spontanea la domanda – perché l'Italia cerca di tenersi questa bomba ad orologeria? Il problema spetta di sicuro agli altri attori politici come gli USA, Russia, Francia e Germania; all’Italia questa guerra di sicuro non serve. L'Ucraina ha i suoi seri problemi con l’economia e l’immigrazione e non è di sicuro colpa dell’Italia.


Le aziende italiane devono imporsi per costringere il governo a fare qualcosa contro la tirannia di Poroshenko e del suo entourage, per risolvere il problema della corruzione e del banditismo.


L’altra domanda che sorge è diretta al governo di Renzi e Gentiloni – cosa si ottiene con gli aiuti finanziari all’Ucraina, e come l'Italia può difendere i propri investimenti? Da tre anni la risposta a questa domanda non la riesce a dare nessuno, gli aiuti continuano ad arrivare e l’amicizia dimostrativa di Poroshenko con il PD continua. Dietro le quinte di questo teatrino continua la guerra commerciale dove lo stesso Presidente cerca di togliere di mezzo sia le banche italiane che creano concorrenza a quelle ucraine, sia gli investitori scomodi. È arrivato il momento in cui il Governo Italiano deve prendere la situazione in mano e ha solo due soluzioni possibili: da un lato sospendere del tutto ogni tipo di collaborazione con l’Ucraina, dall’altro costringere Poroshenko a rispettare le regole del gioco e collaborare onestamente. Per fare ciò di sicuro non basta una riunione straordinaria della BERS.


Finché i cleptocrati non saranno allontanati dal potere, in Ucraina deve assolutamente essere ridotto il numero dei programmi di sostegno e altri investimenti; altrimenti potrebbe sembrare che al Governo Italiano conviene fornire questo tipo di aiuti “poco trasparenti” per sostenere il regime corrotto di Kiev.

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