Gaza. Una tregua che somiglia al biblico piatto di lenticchie



di Patrizia Cecconi

C'è chi le ferite le nasconde, chi ci piange sopra e chi le mostra con orgoglio, perché sono il segno della propria forza, quella che non teme le armi del nemico.
Durante i tanti venerdì della marcia iniziata il 30 marzo, di ferite mostrate con orgoglio ne abbiamo viste tante. Abbiamo visto marciare ragazzi e adulti sulla sedia a rotelle perché resi invalidi dalle armi dei loro assedianti, ne abbiamo visti tanti camminare sulle grucce e qualcuno addirittura con un fiore sulle bende mostrate con romantico orgoglio. Così Ahmed Yahya Atallah Yaghy, 25 anni, ferito qualche venerdì fa, non si lasciava prendere dalla rassegnazione ma vanitosamente si faceva un selfy nel suo letto d'ospedale perché ci fosse prova del suo coraggio e della sua dignità di combattente pacifico contro un nemico armato di tutto, comprese le complicità internazionali che ne rendono impuniti perfino i crimini contro l'umanità.

Ieri Ahmed Yahya è andato alla grande marcia nonostante la sua gamba ferita. I cecchini gli hanno sparato di nuovo. Stavolta al petto e non ha potuto aggiungere un selfy, stavolta lo hanno ucciso.
Un nuovo martire, inteso etimologicamente come testimone, della battaglia contro l'ingiustizia che colpisce il suo popolo, o solo una nuova vittima? Ormai i morti inermi hanno superato il numero di 150 e i feriti il numero di 16.000.
Ci chiediamo se tutto questo sangue alimenterà ancora la resistenza gazawa o verrà gettato dentro una fossa comune coperta dagli "affari e affarucci" del secolo che, dopo averlo affamato e avvilito, taciteranno questo popolo con qualche contentino spostato verso l'Egitto.

Qualcuno a queste proposte dice no, anche qualcuno dentro l'OLP come Tayseer Khaled del Fronte democratico. Qualcuno invece comincia ad essere possibilista. Voci sussurrate dicono che anche alcuni leader di Hamas stiano concordando per compromessi chiamati tregua. A noi non spetta il compito di giudicare, ma il diritto di osservare, provare a capire e quindi il diritto di esprimerci e fornire informazione, quello sì.
Per ora stiamo osservando.

Israele intanto ha sequestrato in acque internazionali o forse addirittura in acque gazawe un'altra nave che tentava di andare a Gaza portando medicinali. Israele abborda, sequestra, impone cose che nel diritto del mare sarebbero punibilit per qualunque altro Stato, ma Israele sa di restare impunito e ribadisce così il suo ruolo di padrone indiscusso di cielo, terra e mare di Gaza.

Non sappiamo se la Grande marcia andrà avanti e per quanto. Certo, potrà essere fermata ma, come i tunnel che hanno reso celebre la resitenza gazawa, forse, se sarà fermata, seguiterà a camminare sotto la superficie visibile, forse in silenzio, ma seguiterà a camminare dentro lo spirito indomito di qualche migliaio di palestinesi. Per quanto tempo? un anno, un secolo? non possiamo saperlo, ma la Storia insegna che ciò che non è risolto si ripresenta. Come un incubo per il vincitore, come un diritto da riconquistare per il vinto.

Forse la frase ripetuta e ancora profondamente sentita "onore ai martiri" finirà per diventare una frase rituale, magari anche con un monumento su un porto aperto alla navigazione gazawa che però non sarà a Gaza ma in Egitto. E forse molti (o pochi) palestinesi la troveranno una buona soluzione. Insomma, quando la fame chiama con voce imperiosa, c'è sempre la possibilità di vendere qualche fratello per un piatto di lenticchie o, mutatis mutandi, per un affare o affaruccio del secolo e questo sembra ciò che si sta prospettando per tacitare la resistenza gazawa che dovrà pur finirla di insegnare scandalosamente al mondo che la dignità della propria vita vale quanto la propria vita!

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