Iran, le conseguenze della disinformazione



di Lorenzo Ferrazzano

«L’Iran resta un problema centrale per tutto il mondo». Sembrano pronunciate da Netanyahu o da Trump e invece sono le parole di chiusura dell’articolo di Fiamma Nirenstein pubblicato su Il Giornale del 15 giugno. Giornalista, poi deputata per il Popolo della Libertà e Vicepresidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, e infine proposta direttamente da Netanyahu come ambasciatrice israeliana a Roma, Nirenstein dice di sé che l’intero suo lavoro si concentra «sulla lotta contro i sistemi politici totalitari» e contro «il terrorismo che si nutre di antisemitismo e dell’odio contro Israele».


È infatti in questo senso che definisce il governo iraniano, come il «regime più aggressivo nel mondo nei confronti dell’Occidente e di Israele», motivando questa definizione accusando la Repubblica Islamica di quella «diffusione del terrorismo internazionale» funzionale alla realizzazione di un «imperialismo mediorientale». È incredibile come i ruoli vengano capovolti, e l’Iran – che ha combattuto in prima linea contro lo Stato Islamico in Siria – diventi, nell’immaginario della Nirenstein, fonte di massima diffusione del terrorismo islamista. Anche più di Israele e dell’Arabia Saudita che quel terrorismo, spiccato dalle macerie dell’Iraq, lo hanno finanziato e fortificato per rovesciare Assad, salvo poi aver dovuto fare i conti con i Pasdaran, con Hezbollah e con l’esercito russo.


È lecito dubitare che un personaggio così vicino al governo di Netanyahu possa essere considerato una voce del tutto cristallina? Deontologia a parte, la Nirenstein ha elencato i soliti capi d’accusa mossi dalle più estremiste delle cancellerie occidentali sulla Repubblica Islamica dell’Iran e – ciò che è peggio – lo ha fatto in un momento estremamente delicato nei rapporti tra Stati Uniti e Iran, diventati tesissimi dopo la crisi del Golfo di Oman. E proprio come diedero per certe le “prove” delle armi di Saddam e degli attacchi chimici di Assad, anche in questo caso la maggior parte dei giornalisti non nutre dubbi, e la stessa Nirenstein non è da meno: sono stati i Guardiani della Rivoluzione ad attaccare le petroliere giapponesi.


Poco importa che un’operazione del genere, come ha scritto Fulvio Scaglione su Linkiesta, vada contro ogni logica geopolitica: perché l’Iran avrebbe dovuto piazzare mine su una petroliera giapponese mentre proprio il premier giapponese è in visita di Stato a Teheran? E poco importa che gli stessi equipaggi delle navi coinvolte abbiano negato di essere stati colpiti da mine, come sostenuto invece dall’accusa. E poco importa che lo stesso primo ministro nipponico abbia chiesto a Washington prove più concrete che vadano «oltre le speculazioni». In certi casi, per le più autorevoli penne della stampa occidentale, è sempre preferibile tradire la logica dell’analisi per l’incoerenza della propaganda o – sperando nelle buone intenzioni della Nirenstein – per l’assurdità del fanatismo.


Per andare al di là delle speculazioni, allora, si rendono necessarie le parole di Alberto Negri che, contrariamente alla giornalista italo-israeliana, il Medio Oriente lo ha visitato in stato di guerra e non dai giardini di Tel Aviv:«L’obiettivo degli Usa è di costruire l’immagine di un Iran “minaccia per la pace” e dei traffici internazionali» ma anche di «fare paura agli europei aumentando una tensione nello Stretto che può innescare un’impennata delle quotazioni petrolifere». Un chiaro avvertimento all’Unione Europea, che sta valutando con l’Iran una strategia per aggirare le sanzioni Usa.


Senza dimenticare che, contrariamente alla narrazione occidentale che dipinge l’Iran come sorgente della macelleria siriana, in una delle famose mail della Clinton diffusa da WikiLeaks è scritto che «il rovesciamento di Assad […] farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare», una minaccia proveniente direttamente dall’Iran, il quale tuttavia secondo gli osservatori internazionali stava rispettando il JCPOA.


Le notizie dai fronti di battaglia ci dicono poi che Israele sta portando avanti una guerra contro il Paese persiano che di fatto è già scoppiata nelle province siriane, accomunato in questo conflitto con l’Arabia Saudita, che da sempre si confronta con l’Iran su due campi di scontro: quello dell’egemonia petrolifera e quello dell’egemonia religiosa nella regione. Una contrapposizione teologica – quella wahabita saudita e quella sciita iraniana – che si lega direttamente alle vicende politiche, alla guerra e al terrorismo internazionale di matrice per l’appunto sunnita e non sciita.


Una nuova guerra in Medio Oriente, in particolare contro l’Iran, che non è l’Iraq o la Siria, avrebbe delle conseguenze irreversibili su scala mondiale, e non solo per gli effetti immediati della guerra ma anche per l’inasprimento delle relazioni internazionale che ne deriverebbe. Gli eventi degli ultimi anni infatti hanno mostrato che è terribilmente sbagliato considerare la destabilizzazione del Medio Oriente come foriere di crisi esclusivamente regionali. L’immigrazione – che l’Europa non vuole – e il terrorismo islamista sono i tornaconti più evidenti per noi occidentali, che continuiamo a sottovalutare i pericoli che le guerre che stanno falcidiando il Medio Oriente possono comportare nell’Europa civile e progressista.


Un pubblico, quello occidentale, che continuerà a non capire nulla delle conseguenze della geopolitica finché sui giornali autorevoli verranno pubblicati gli articoli fanatico-fantascientifici di giornalisti come la Nirenstein, che a sostegno della sua presunta autorevolezza vanta di aver ricevuto un’infinità di premi letterali e giornalistici, oltre alle onorificenze ricevute direttamente dallo Stato israeliano. E proprio questo dovrebbe farci desistere dal leggere i suoi capolavori. Come diceva Longanesi:«Non basta rifiutare i premi, bisogna anche non meritarli».

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