Russia: gli USA hanno raggiunto "il vertice del cinismo"



di Fabrizio Poggi

Dopo il voto con cui domenica il Parlamento iracheno aveva votato per il ritiro definitivo di tutte le forze armate straniere dal paese, già lunedì Baghdad ha messo mano al meccanismo per il ritiro delle truppe americane. "Le attività della coalizione internazionale in Iraq” ha dichiarato il rappresentante del Comando delle forze armate, Abdel Kerim Half, “saranno limitate alle consultazioni, agli armamenti e all'addestramento del personale militare, mentre le truppe lasceranno l'Iraq. Verranno limitati gli spostamenti terrestri e aerei delle forze della coalizione internazionale”. Con il voto di domenica, infatti, il Parlamento iracheno aveva chiesto anche l'annullamento dell'accordo con la coalizione internazionale contro l'ISIS e impegnava il governo a proibire l'uso di spazio aereo e acque territoriali a forze militari straniere e a garantire il diritto esclusivo dello Stato a utilizzare armi all'interno del paese, oltre che indagare sugli attacchi americani e riferire in Parlamento entro sette giorni. Impegnava poi il Ministero degli esteri a presentare immediatamente una denuncia alle Nazioni Unite sulla violazione USA della sovranità del paese.


Al voto del Parlamento iracheno, Trump aveva risposto che "Se faranno qualcosa che ci sembra inaccettabile, imporremo all'Iraq sanzioni tali che quelle contro l'Iran sembreranno una cosetta noiosa" e aveva anche aggiunto che le truppe americane non se ne andranno finché Baghdad non avrà pagato per la base aerea USA.


Gli ha risposto indirettamente il consigliere del leader supremo iraniano Ali Akbar Velayati: “Gli Stati Uniti si pentiranno se non ritireranno le truppe dal Medio Oriente. Uccidendo Soleimani, hanno commesso una grande stupidità, e ora Washington dovrà affrontare un secondo Vietnam".


Intanto, mentre Teheran annuncia di non sentirsi più vincolata al rispetto degli impegni sul nucleare, Russia e Cina si sono opposte a una dichiarazione proposta dagli USA al Consiglio di sicurezza ONU, di condanna dell'attacco all'ambasciata americana in Iraq del 31 dicembre. Se Washington ha accusato Mosca e Pechino di "minare la fiducia nel Consiglio di sicurezza", la portavoce del Ministero degli esteri russo Marija Zakharova ha definito l'accusa yankee "vertice del cinismo": gli USA hanno prima lanciato un attacco missilistico sull'aeroporto di Baghdad, e solo dopo hanno chiesto al Consiglio di sicurezza un voto sull'attacco all'ambasciata americana in Iraq.


La situazione insomma, nonostante i passi (abbastanza cauti, per ora) di Mosca e Pechino, non infonde ottimismo. Secondo il britannico The Sun, che cita “fonti autorevoli”, se la tensione in Medio Oriente tra Teheran e Washington dovesse sfociare in un conflitto, Londra è pronta a lanciare un attacco missilistico contro l'Iran. Un sommergibile britannico della classe "Astute", armato con missili da crociera "Tomahawk", incrocerebbe già a una “adeguata distanza” di tiro.


Per ogni evenienza, il Ministro della difesa russo, Sergej Šojgù e il Capo di stato maggiore iraniano Mohammad Bagheri, hanno discusso ieri al telefono delle “misure pratiche per prevenire l'escalation della situazione in Siria e Medio Oriente”.


Ovviamente, si tentano ancora passi diplomatici. Sabato scorso, a Bruxelles, l'alto rappresentante agli esteri UE, Josep Borrell e il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif avevano discusso delle implicazioni della crescente tensione in Iraq per il piano d'azione congiunto globale (JCPA) sul programma nucleare iraniano.


In un colloquio telefonico, i Ministri degli esteri russo e cinese, Sergej Lavròv e Wang Yi avevano osservato che l'azione illegale USA contro l'Iran ha seriamente inasprito la situazione nella regione; Russia e Cina adotteranno misure congiunte per una soluzione pacifica delle situazioni di conflitto. Al telefono con il Ministro degli esteri iraniano Zarif, Wang Yi aveva espresso l'opposizione della Cina all'uso della forza nelle relazioni internazionali.


Da Washington, invece, Donald Trump aveva minacciato di ricorrere alla nuova arma da 2 trilioni di dollari contro 52 obiettivi iraniani, nel caso venga attaccata una qualsiasi base americana; per la qual cosa, per inciso, Teheran non avrebbe che l'imbarazzo della scelta (e anche il necessario potenziale missilistico), vista la massa di basi yankee tutt'intorno al paese.


Che un'azione “sconsiderata” USA fosse attesa, (The Washington Post scriveva ieri che il Segretario di stato Mike Pompeo stava tentando da mesi di convincere Trump a uccidere Soleimani) parrebbe testimoniarlo anche il fatto che, il giorno prima dell'assassinio, il Presidente cinese Xi Jinping aveva firmato un ordine di mobilitazione per le forze armate. Vero che si parla di “esercitazioni”, ma l'agenzia Xinhua specifica che si tratta di addestramento militare in condizioni di combattimento reali”. XI avrebbe anche chiesto alle forze armate di mantenere un “alto livello di prontezza e intensificare gli addestramenti di emergenza e di combattimento”.


Rimanendo in Cina, il politologo Tang Zhichao, sentito da Xinhua, osserva che, oltre alla “vendetta” di cui parla Washington, gli USA hanno ucciso Soleimani anche per consolidare la propria egemonia in Medio Oriente, minando quella iraniana. "L'Iran considera l'Iraq, in particolare le milizie sciite irachene, come uno strumento importante per contrastare gli Stati Uniti, quindi l'azione USA significa costringere l'Iran ad allentare la presa sull'Iraq".


Dalla Russia, invece, Aleksandr Sitnikov scrive su Svobodnaja Pressa che il mondo sull'orlo di una tremenda guerra in Medio Oriente, accennando all'invio di ulteriori 3.500 soldati USA in Medio Oriente, in aggiunta ai 35.000 (13.550 in Kuwait, 8.000 in Qatar, 9.000 in Arabia Saudita, 4.000 in Bahrein) già presenti. Del fatto che gli USA dessero la caccia a Soleimani si era già scritto due anni fa, ricorda Sitnikov. “Tra l'altro, era stato Soleimani a scongiurare il "majdan" iraniano, che, con l'esplicito sostegno USA, era scoppiato a fine 2017. Allora, il giornale Kuwait al-Jarida aveva scritto che Washington aveva dato il via libera a Israele per l'assassinio del comandante di al-Quds”.


D'altra parte, l'assassinio di Soleimani “può avere un effetto destabilizzante nello stesso Iran” dice Sitnikov. Dato che “l'opposizione è abbastanza forte, trarrà sicuramente vantaggio dalla perdita di un sostenitore così autorevole dell'Ayatollah Ali Khamenei”. Dunque c'è da aspettarsi “un brusco peggioramento della situazione politica interna” o addirittura di “una sanguinosa guerra civile”. Ma, il che sarebbe molto peggio per Mosca, “anche caos generale in Siria. È improbabile che le milizie sciite, private del comando, siano in grado di aiutare le forze di Assad come prima. Rialzeranno così la testa ISIS e altre organizzazioni sunnite, sconfitte con l'attiva partecipazione di Soleimani”. Ciò avrà effetti negativi anche per la Russia, dato che “le milizie sciite sono state il più forte alleato delle truppe russe in Siria. Se in Iran prende forza una "rivoluzione colorata", per la quale Trump ha stanziato 1 miliardo di dollari, è probabile che i militanti di al-Quds tornino dalla Siria per difendere il regime di Ali Khamenei, così che l'intero peso della guerra ricadrà esclusivamente sui nostri soldati”.


Di parere contrario il politologo orientalista Vladimir Sažin. Sulla rivista Vita Internazionale si dice abbastanza sicuro che “non si arriverà a un conflitto su larga scala. L'assassinio di Soleimani ha ulteriormente aggravato la situazione in Iran, attorno all'Iran e al Medio Oriente nel suo insieme”, dice; ora tutti “aspettano la risposta dell'Iran. Quasi l'intera leadership della Repubblica islamica ha annunciato vendetta per l'azione di Trump”. E Teheran avrebbe tutte le possibilità e potenzialità per tale risposta. Ma “è improbabile che scoppi una grande guerra tra Iran e Stati Uniti: entrambi sanno di non averne bisogno. Il pericolo è che l'Iran risponda, in qualche modo, dato che l'intera leadership ha parlato di rappresaglia dura: il prossimo attacco USA sarebbe ancora più duro. Cioè, si può avere una escalation reciproca; ma anche in questo caso sono sicuro che sia improbabile una guerra su larga scala”.


Mikhail Ošerov definisce l'omicidio un “crimine internazionale commesso apertamente dagli USA”. Assassinando Soleimani, scrive su iarex.ru, Washington ha compiuto l'ennesimo passo che risponde più agli interessi israeliani, che non a quelli USA. Lo stesso attacco americano alla città di Kaim, che avevano poi provocato le manifestazioni anti-USA a Baghdad, risponde agli interessi israeliani. “Attraverso la città, base dell'esercito iracheno, passa l'unica via di terra tra Baghdad e Damasco, e Tel Aviv intende interrompere comunicazioni dirette tra Siria, Iraq e Iran. Gli eventi in Medio Oriente” dice Ošerov, “iniziano a svilupparsi verso un inasprimento di tutti i conflitti. Questo non è il primo atto terroristico internazionale yankee; ma è la prima volta che lo commettono così apertamente e se ne vantano. I leader statunitensi stanno diventando sempre più inadeguati in termini di semplice logica umana, e con loro è impossibile condurre negoziati e concludere accordi. Vanno fermati”.

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