Chi pagherà il prezzo dell'epidemia?



di Lorenzo Ferrazzano


All'inizio si scorge soltanto un sacco nero, nel video girato in un ospedale in disordine. Non avevo alcuna intenzione di guardarlo per intero; poi un'insana curiosità mi ha spinto ad andare fino in fondo.


Scopro che le immagini non provengono da Bergamo né da Brescia, come sostengono alcuni, e neanche da New York come dicono altri; si tratta dell'Ecuador: decine e decine di corpi richiusi in sacchi neri, ammassati qua e là, a terra, in un ospedale di Guayaquil.


L'infermiere che immortala questa strage degli innocenti tenta di farsi largo tra i cadaveri come si attraversa un cumulo di macerie dopo un terremoto o un'esplosione. Corpi come pietre di un edificio. Questo vale la vita umana in questi giorni.


Vale quanto un corpo di cui sbarazzarsi al più presto per liberare spazio; vale quanto il punto di un segmento grafico in continuo incremento che ormai ha assunto le sembianze di una croce del martirio.


Qualcuno dirà che la disumanizzazione è il limite di ogni sintesi statistica; che i numeri rappresentano uno strumento d'indagine e non suscitano di per sé la banalizzazione della morte. E sia; ma dai numeri bisogna pur imparare qualcosa. Bisogna pur rispettarle, queste sintesi grafiche di dolore, queste assi cartesiane di eterni addii.


Oggi il presidente di Confindustria Lombardia, in un'intervista per Tpi, ha dichiarato che la «presenza massiccia di animali» nelle valli della bergamasca abbia provocato «una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio». Così si spiegherebbe il tasso così alto di contagi nella zona.


Incalzato dalla giornalista, che gli ha fatto notare che gli animali non sono considerati veicoli di contagio, il presidente Bonometti ha risposto che allora «non c’è spiegazione» - oltre ai movimenti del personale addetto al trasporto merci -, perché «le fabbriche sono considerate per noi i luoghi più sicuri».


L'idea che all'interno delle aziende potessero lavorare dei potenziali asintomatici non gli è neanche saltata in mente; e la certezza che in molte delle fabbriche gli operai fossero sprovvisti di dispositivi di sicurezza individuali non sarebbe neanche contemplabile tra le cause del contagio. Non sia mai si blocchi la produzione. Ma quanto vale in questi giorni una vita nella bergamasca?


«Chi prende le decisioni sulla salute delle persone? Chi ha l'ultima parola?» ha chiesto Giulia Presutti di Report al presidente dell'Istituto Superiore della Sanità, «voi come tecnici, il Ministero come decisore politico? O l'imprenditoria?».


È il capitalismo, qualcuno obietterà, magari stufo di queste parole abusate. Nulla di nuovo. Del resto, ce lo ha spiegato anche The Economist, senza alcuna ipocrisia, mettendoci davanti alla crudezza della ragione economica, una bilancia i cui pesi sono formati dal denaro e dalla vita umana.


Si tratta di un atroce calcolo, «a grim calculus», si legge in copertina. Valutare perdite e profitti relativi alla salvaguardia della priorità stabilita: salvare il Pil o salvare vite umane? Senza dimenticare, aggiungiamo noi, che la percentuale indicata dal prodotto interno lordo nasconde dietro un numero la realtà delle diseguaglianze sociali proprie del sistema neoliberista.


Una distanza infinita, quella tra Pil nazionale e dignità sociale, di cui ci viene data dimostrazione anche dalla foto dei senza tetto di Las Vegas, abbandonati in un parcheggio nel Paese più prospero del mondo.


Perché gli unici a rimetterci dall'epidemia sono le persone che si toglieranno la vita, come i due giovani di ventisei e ventinove anni che hanno oltrepassato il confine tra la vita e la disperazione, uccidendosi.


Non certo, come ci ha spiegato candidamente Urbano Cairo, editore del Corriere della Sera e gran capo de La7, i grandi imprenditori come lui; i geni del marketing in questi giorni stanno infatti rilevando sui grafici aziendali un'altra linea di incremento, quella del profitto, parallela a quella dei morti indicata sulle tabelle degli ospedali.


«Questo paese è devastato dal dolore/Ma non vi danno un po' di dispiacere/Quei corpi in terra senza più calore?», cantava Franco Battiato con piena umanità. «Nel fango affonda lo stivale dei maiali/ Me ne vergogno un poco e mi fa male/ Vedere un uomo come un animale».


Molti nuovi focolai di crisi stanno già scoppiando nel mondo, senza aspettare che la peste finisca il suo corso. Come riporta la Repubblica, negli ultimi dieci anni la fiducia degli italiani nei confronti dell'Unione Europea è crollata del 30%, portando al 70% la fetta di popolazione che non crede più al “sogno europeo” così come è stato concepito a Maastricht.


Tuttavia Bruxelles non è soltanto la sede di quella che viene considerata un'istituzione antidemocratica, ma rappresenta il centro del processo di integrazione commerciale e istituzionale lungo un trentennio.


Se il crollo dovesse avvenire senza accordi e coordinamenti strategici ci sarà una catastrofe; esattamente come la mancanza di una gestione collettiva della crisi del Covid-19 sta provocando quest'ultima crisi continentale. «Il virus ha frantumato le ipocrisie e resta solo la retorica», ha scritto Stefano Folli dopo la recente sospensione di Schengen, primo sintomo del disastro politico attuale.


Sul Corriere della Sera del 5 aprile, l'analista della Cnn Fareed Zakaria ci ha avvertito delle conseguenze della mancanza di collaborazione tra le potenze. Cosa succede nel terzo mondo?, si chiede. Scoppieranno ulteriori crisi sociali nei Paesi esportatori di petrolio, ora che la domanda si è ridotta a zero?


«Non ci rendiamo conto della magnitudine dei prezzi che il mondo intero rischia di pagare», dice l'esperto. «Non torneremo neppure ad una parvenza di vita normale, a meno che le grandi potenze non trovino un modo di cooperare e affrontarle insieme».


Per quanto possa sembrare desolante, bisogna abituarsi all'idea che l'epoca che si avvicinando sarà fatta di tragedie quotidiane; di diseguaglianze ancora più evidenti e di ferite che nessuno sarà in grado di curare.


Sarà un mondo in cui il dolore dell'uomo non assumerà un peso diverso da quello che possiede oggi. Perché l'egoismo e il calcolo di pochi continueranno, come sta accadendo in questi giorni, a sovrastare il valore delle lacrime di tutti gli altri, in un'eterna celebrazione del profitto e del disprezzo.

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