L'amministrazione comunale di Vicenza cerca di sdoganare il fascismo. Silenzio sulla manifestazione antifascista



di Patrizia Cecconi - Pressenza

Da diversi anni capita di sentir opinionisti più o meno di grido dire che “è sciocco parlare di fascismo in assenza di fascismo”. Quest’affermazione lapidaria e dogmatica non fa i conti con la realtà, e la realtà è fatta di eventi, piccoli e grandi, che mostrano come il fascismo sia una malattia latente ma non scomparsa.


Considerarlo come puro fenomeno italiano terminato il 25 luglio del 1943, data in cui fu proclamata la sua caduta, non è solo un errore grossolano, ma è l’impedimento a capire quanti eredi ha lasciato, e non solo in Italia, quel tragico ventennio. Perché il fascismo ha una sua precisa ideologia, accompagnata da pratiche politico-sociali inconfondibili, pur nelle sue varianti locali e temporali.


Da quel 25 luglio del “43 o meglio dal 25 aprile del “45 ad oggi il fascismo non solo si è riproposto in vari Paesi del mondo, ma non è mai del tutto scomparso neanche in Italia e più volte, vuoi in modo subdolo e “in doppiopetto”, vuoi in modo violento e tipicamente squadrista, ha provato a imporsi nuovamente, mostrando la pericolosità dei suoi rigurgiti e la necessità di bloccarli in nome della Costituzione che, come scrive l’Anpi di Vicenza “è filiazione diretta della Resistenza al nazifascismo; e senza la Resistenza la Costituzione … sarebbe stata priva di quei caratteri di emancipazione sociale che la contraddistinguono.


Quanto avvenuto a Vicenza il 10 giugno è esemplare, a proposito di rigurgiti di fascismo. L’amministrazione comunale di destra ha ratificato, proprio il 10 giugno, anniversario dell’omicidio Matteotti – per caso o per sfregio non lo sappiamo – l’abolizione della clausola antifascista nel regolamento comunale di occupazione di suolo pubblico per manifestazioni culturali e politiche.


La notizia ha occupato poco spazio mediatico a livello nazionale, nonostante il gaudio scomposto espresso dall’assessore Giovine, promotore della modifica, il quale si è mostrato fieramente esultante sia sui social che sulla stampa, compreso un foglio quale “Primato nazionale”, che si presenta da sé con la figura del “duce” in copertina, dichiarando, come fosse una grande conquista di civiltà: “Siamo primi in Italia! A Vicenza non c’è più la clausola antifascista! …Nella nostra città non ci si dovrà più dichiarare antifascisti per occupare il suolo pubblico”.


E così, mentre da mesi l’Italia è preda del nuovo virus killer che ha riempito i media di morti per o con covid-19, di contagi veri o presunti, di chiusure imposte, talvolta in modo irrazionale o seguendo razionalità non dichiarate, di vaccini, anticorpi e mascherine, delazioni considerate virtuose e vari abusi in divisa, altri eventi, grandi e piccoli, tra cui quello di Vicenza, sono passati più o meno inosservati.


E’ passata quasi inosservata la vendita di due navi da guerra all’Egitto con gioia delle imprese venditrici e umiliazione della giustizia richiesta per Giulio Regeni; è passata quasi inosservata la compravendita di aerei da guerra il cui costo unitario si avvicina a quello di un ospedale. E’ passata quasi inosservata la notizia di altre decine e forse centinaia di naufraghi morti in mare mentre cercavano una vita migliore. E’ passata quasi inosservata la notizia del taglio di centinaia di alberi ad alto fusto mentre si finge di occuparsi del clima. Giusto il rientro di Silvia Romano in abito jihadista ha rubato per poco la scena al nuovo coronavirus.


Poi, inaspettatamente, a fine maggio è stato possibile buttarsi a livello mondiale su un altro tema, per fortuna assolutamente nobile sebbene drammatico: quello della condanna dell’ennesimo omicidio gratuito di un cittadino afro-americano da parte della polizia statunitense, George Floyd. Soffocato per puro sadismo da un delinquente in divisa con altri tre delinquenti che assistevano all’omicidio. Certo non è il primo afro-americano ad essere ucciso “gratuitamente” negli Usa e purtroppo non sarà neanche l’ultimo come già ci confermano nuovi video di telecamere di sicurezza che hanno ripreso altri due omicidi gratuiti di altri afro-americani. Di questi ultimi non si ricorda facilmente il nome, così come non si ricordano i nomi di tutti quelli che hanno preceduto George Floyd, ma è come se in George si fossero simbolicamente raccolte le vite spezzate di tutte le altre vittime di abusi polizieschi e/o di razzismo che, solo negli ultimi anni, ammontano a circa 1830 nei soli Stati Uniti.


Quest’onda di forte indignazione arrivata anche in Italia è il segno positivo di una sensibilità non svilita dal razzismo imperante delle destre e, nel nostro specifico, si è riversata sulla statua dedicata a Indro Montanelli, a Milano, di cui è stata chiesta la rimozione per il passato fascista (fino al 1938) e per l’acquisto della sposa bambina etiope da parte del giornalista durante una delle pagine più nere della storia d’Italia.


Il dibattito sulla statua che si dice voglia rappresentare la libertà di stampa, ma che in effetti è l’omaggio a un uomo della destra liberale, che precedentemente era stato fascista impersonando con le sue scelte tanto i “valori” del fascismo che del colonialismo italiano precedente ad esso, non si è ancora sopito e non sappiamo come evolverà. Ma intanto, mentre in Italia si dibatteva sull’iconoclastia e sulla statua e i giardini Montanelli, il sindaco di Vicenza quatto, quatto, sdoganava il fascismo abolendo la cosiddetta “clausola antifascista” dal regolamento comunale.


L’ANPI di Vicenza fa notare in un suo comunicato che in questo modo “si getta vergogna sulla storia di Vicenza, città medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza. Ed è ancora più preoccupante e doloroso che questo accada proprio mentre in tutto il mondo centinaia di migliaia di persone protestano pacificamente contro il razzismo e le discriminazioni che ancora permeano la nostra società


Per un paio di giorni alcune testate hanno dato notizia del fatto riportando le dichiarazioni di disappunto dell’ex sindaco e dell’Anpi e quelle di vittoria dell’Amministrazione comunale di destra tra le quali spiccano, oltre le sopra citate manifestazioni di giubilo dell’assessore Silvio Giovine, le parole leggermente ridicole, ma senza consapevolezza di esserlo, dell’assessora di FdI Elena Donazzan la quale dichiara che l’eliminazione della clausola antifascista ha finalmente mostrato “…coerenza. Con la nostra storia culturale, politica e anagrafica” e che è “cosa sacrosanta togliere la clausola dell’adesione all’antifascismo. La poverina arriva a dire che è ora di mostrare “coerenza coi padri nobili della politica di destra in Italia, e su tutti Almirante.


Può darsi che la povera Donazzan nell’attribuire appellativi avesse le idee confuse dalla gioia, ma ha altresì mostrato senza ombra di dubbio che l’intenzione dell’Amministrazione comunale di Vicenza, su proposta di Silvio Giovine, aveva non solo l’intenzione di sdoganare il fascismo, ma anche quella di esaltarlo come ideologia, e questo attesta un fatto gravissimo e del tutto anticostituzionale.


Ma a distanza di dieci giorni dall’evento tutto si sarebbe attutito e forse spento se due giorni fa la Vicenza antifascista non avesse convocato una manifestazione e se piazza Castello e piazza dei Signori non si fossero riempite di migliaia di manifestanti di tutte le età che hanno detto il loro “NO, il fascismo lo respingiamo in tutte le sue forme”.
La destra gaudente guidata dal sindaco Francesco Rucco canta comunque vittoria e diplomaticamente, per quanto riesca a farlo, rimanda l’abolizione della clausola a una necessità di “pacificazione” e di cosiddetta “memoria condivisa”.
In realtà ogni osservatore sa bene, non per scelta ideologica, ma per pura osservazione dei fatti, che l’obiettivo è altro, come le dichiarazioni di Giovine e Donazzan dimostrano ampiamente.


Come scrive Gigi Poletto dell’Anpi, oggi “I rapporti tra la destra parlamentare e il neofascismo sono strettissimi” e la destra parlamentare non è certo quella che partecipò all’assemblea costituente che rappresentava le diverse anime dell’antifascismo. “L’abolizione della clausola – scrive ancora Poletto – rende il Centro-Destra vicentino completamente subalterno al neofascismo” come mostrano “l’intolleranza per i ‘diversi’ e l’odio per gli immigrati”.


A proposito di “memoria condivisa” evocata dalla destra vicentina, va detto subito che è un binomio che non può stare insieme. E’ una finzione mistificante ed è offensiva verso chi ha dato la vita per la liberazione dal nazifascismo.
Per quanto riguarda invece la “pacificazione” va ricordato che chi realmente tentò una pacificazione fu l’allora ministro Togliatti nel lontano 1946. L’amnistia di Togliatti, forse i poveri assessori vicentini non lo sanno, eliminò con un tratto di penna i crimini dei fascisti rimettendoli in libertà per “annullamento del reato”. I crimini contro l’umanità di cui si era macchiato il fascismo e, quindi, migliaia di fascisti, vennero cancellati dal ministro di grazia e giustizia e segretario del partito comunista più importante d’Europa, i cui militanti avevano rappresentato la parte più consistente della Resistenza e avevano pagato il prezzo più pesante durante il fascismo prima e il nazifascismo poi.
Ma tutto questo i poveri assessori vicentini che usano con leggerezza il termine “cultura” forse non lo sanno.


La “pacificazione” prevalse sulla “giustizia” e portò proteste tra gli stessi comunisti e gli antifascisti in genere, ma Togliatti aveva stabilito che l’Italia dovesse essere pacificata amnistiando criminali di guerra e riabilitandoli, se impiegati pubblici, nei loro ruoli addirittura pagando loro gli stipendi arretrati non goduti, in quanto non dovuti.
La “pacificazione”, ovvero l’amnistia di Togliatti, rappresentò –malgrado le sue intenzioni – una continuità col fascismo e con la sua corruzione, e una misura che attraverso la cosiddetta “clemenza” commetteva un’enorme ingiustizia rimettendo in libera circolazione squadristi picchiatori e assassini, gerarchi, miliziani della RSI e capi militari che si erano macchiati di delitti efferati sia in Italia che nei paesi in cui il fascismo aveva portato terrore e morte, come l’Etiopia in cui si trovava Montanelli nel 1936.


L’Amministrazione comunale di Vicenza forse non ha studiato la storia e queste cose non le sa.


Forse non sa neanche del famoso “armadio della vergogna” in furono nascosti circa 700 fascicoli di stragi nazi-fasciste occultate per decenni, come Sant’Anna di Stazzema, e comunque rimaste impunite.
Di sicuro il sindaco Rucco e la sua Amministrazione non sanno neanche che Togliatti fu tanto clemente con i nemici quanto severo con quegli antifascisti che immediatamente dopo la fine della guerra si macchiarono di reati di vendetta contro chi aveva torturato e ucciso i loro compagni o i loro familiari. Per loro c’era la galera!


L’amministrazione comunale di Vicenza non lo sa o finge di non saperlo. Noi crediamo non lo sappia e non faccia nulla per colmare la propria ignoranza, ma l’Anpi di Vicenza lo sa e lo sanno, se non nei dettagli, sicuramente nel suo insieme storico, i cittadini che sono andati a manifestare in massa contro la scelta, nei fatti e nelle intenzioni filo-fascista, ratificata il giorno dell’omicidio Matteotti.


Forse se Togliatti non avesse tentato quell’impossibile pacificazione oggi non avremmo disgustosi rigurgiti di fascismo, ma la storia, lo sappiamo tutti, non si fa con i “se”.


Quello che insegna la mobilitazione antifascista di Vicenza e che dovrebbe occupare uno spazio ben più significativo sui media mainstream è che i crimini di guerra e contro l’umanità vanno trattati secondo giustizia e la clemenza non può diventare cancellazione del reato pena rappresentare una vittoria dell’ingiustizia con i risultati che non è difficile vedere.

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