Perché si è giunti a una nuova esclation al confine, nella regione di Tovuz, tra Armenia e Azerbaigian, con Baku che denuncia di aver subito una deliberata aggressione da parte dell’Armenia?
Sulle colonne del quotidiano turco Daily Sabah, il giornalista Yahya Bostan scrive:
«Il confine tra Azerbaigian e Armenia è tornato ad essere al centro dell'attenzione globale, poiché la violenza è scoppiata lì a metà luglio. Questa volta si sono verificati violenti scontri nella regione strategicamente importante di Tovuz, situata a nord del confine, invece del Nagorno-Karabakh, un territorio azero occupato dagli armeni a sud. Alcune delle rotte energetiche dell'Azerbaigian attraversano Tovuz, dove gli avamposti militari lungo il confine e le aree residenziali sono stati attaccati dalla vicina Armenia. Il breve assalto provocò 12 perdite in Azerbaigian, tra cui 11 soldati e un civile. Le vittime armene sono sconosciute poiché il paese non ha rivelato informazioni pertinenti».
Per il giornalista turco il punto centrale rimane la questione del Nagorno-Karabakh. Regione dell’Azerbaigian a maggioranza armena e occupata da Yerevan in seguito a un conflitto che si è svolto tra il gennaio del 1992 e il maggio del 1994. Per questo i due paesi sono ancora tecnicamente in guerra:
«L’occupazione armena del Nagorno-Karabakh rimane al centro della crisi tra i due paesi. Un'utile regola empirica è cercare le origini di qualsiasi scontro militare nella storia - in particolare, interventi arbitrari da parte di poteri imperiali. La disputa del Nagorno-Karabakh non fa eccezione in quanto è un prodotto della politica di reinsediamento dell'Impero russo. Come risultato di questo approccio, la percentuale di armeni nella popolazione della regione è aumentata dal 22% nel 1823 all'80% un secolo dopo. I turchi azeri, a loro volta, furono esiliati dalla loro terra e lasciati senza casa. Sulla scia della disgregazione dell'Unione Sovietica, il caos e una campagna di pulizia etnica da parte degli armeni hanno provocato l'ulteriore spostamento di 1 milione di turchi azeri dal Nagorno-Karabakh.
L'Azerbaigian ha risposto fortemente alla politica di escalation dell'Armenia lungo il confine. Dopo molto tempo, il popolo dell'Azerbaigian è sceso in strada, esortando il proprio governo a rispondere all'assalto armeno. Il presidente Ilham Aliyev ha proceduto al licenziamento del suo ministro degli Esteri, Elmar Mammadyarov, per l'indisponibilità di quest'ultimo durante la grave crisi».
L’attacco è stato condannato dalla Turchia, alleata dell’Azerbaigian. Il presidente Recep Tayyip Erdogan, parlando il giorno dopo l'offensiva, ha condannato pubblicamente "l'attacco dell'Armenia contro l'Azerbaigian, paese nostro amico e fratello", e ha sottolineato l'importanza del luogo: "L'attacco ha avuto luogo al confine tra questi due paesi. Indica che c'è stato un attacco deliberato contro l'Azerbaigian. Senza dubbio, l'Armenia è fuori dalla sua profondità qui”.
Il giornalista turco a questo punto fa notare sulla scorta delle dichiarazioni di Erdogan: “La Turchia prende sul serio le ripercussioni dell'ultima escalation. Ankara si chiede perché l'Armenia, che sta già affrontando immensi problemi economici e il rischio di sgretolarsi sotto la ricaduta della pandemia di COVID-19, avrebbe attaccato il suo vicino e preso di mira la regione strategicamente importante di Tovuz. Gli analisti sostengono che Yerevan intendeva bloccare i tentativi di risolvere il conflitto congelato nel Nagorno-Karabakh e distogliere l'attenzione da quei territori occupati. Tuttavia il paese non può gestire il conseguente tumulto economico e politico”.
Da qui la conclusione che l'Armenia non ha deciso di attaccare l'Azerbaigian stesso, ma si tratterebbe di un attacco diretto a colpire la Turchia.
Quindi, perché le tensioni si sono intensificate lungo il confine tra Azerbaigian e Armenia?
Scrive Yahya Bostan: “L'attacco deve essere visto come parte di un contesto più ampio. Una cosa è chiara: la situazione attuale non è sorta indipendentemente dall'influenza regionale della Russia o dagli sviluppi più recenti in Libia e nel Mediterraneo orientale”.
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