Elezioni Usa, nessuna illusione: vincerà il nemico della pace e del diritto internazionale

di Albano Nunes - Avante

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it


La campagna elettorale negli Stati Uniti occupa da mesi uno spazio enorme nei media. Come se il destino del mondo dipendesse dal risultato del 3 novembre. Come se fossimo tutti costretti a schierarci in una gigantesca farsa che contiene di tutto tranne la "libera opzione pluralista" e la "trasparenza" che l'imperialismo statunitense e i suoi alleati, difensori dei sistemi "liberali" di "economia di mercato", cercano di imporre con la forza in Venezuela, Nicaragua, Bielorussia, dovunque si affermino processi di progresso e sovranità.


I commenti onesti sul marciume della "democrazia americana" sono rari. Per la maggior parte dei giornalisti e "politologi" dei media mainstream non importa che siano i grandi interessi economici, le mafie, un intero sofisticato sistema di potere (Wall Street, complesso militare-industriale e Pentagono, CIA) a manipolare l'opinione pubblica. Poco importa che il sistema elettorale sia una costruzione confusa per dare l'illusione di partecipare a qualcosa già deciso dallo stato maggiore del partito a due teste americano, con repubblicani e democratici che si alternano al governo per portare avanti la stessa politica di classe.


Cercando di imputare a Trump il declino della posizione globale degli USA, si alimenta l'idea che una vittoria di Biden (che nessuno dà per scontata) rappresenterebbe una svolta positiva, il che è tutt'altro che certo, in particolare in politica estera.


A seguito dell'approfondirsi della crisi strutturale del capitalismo che l'epidemia ha delineato e dei gravi fallimenti in campo economico ed estero, sono aumentate le divergenze nella classe dirigente, ovvero su come trattare gli alleati e contrastare la tendenza all’isolamento degli Stati Uniti. La verità è, tuttavia, che c'è un consenso molto ampio tra Democratici e Repubblicani sulla necessità di difendere e affermare l'egemonia globale dell'imperialismo statunitense, in particolare per quanto riguarda la corsa agli armamenti, la politica di ingerenza e aggressione come avviene in Venezuela, Palestina o in Siria, la questione centrale del confronto con la Cina. Le vere differenze tattiche non alterano questa realtà fondamentale ancorata alla natura stessa del sistema.


E’ comprensibile che nel sistema elettorale antidemocratico americano per sconfiggere Trump e porre fine a una presidenza strumentalizzata dai settori più arretrati, l'unica possibilità sembrerebbe quella di votare Biden. Ma è necessario non creare l'illusione che ciò rappresenti un cambiamento nella politica statunitense a favore del disarmo, della pace, del rispetto della Carta delle Nazioni Unite e della legalità internazionale che l'amministrazione americana continua a calpestare con la massima audacia e arroganza, come si è visto ancora una volta nell'annunciato proposito di Pompeo di ignorare la sua flagrante sconfitta alle Nazioni Unite in relazione alle sanzioni contro l'Iran.


Contrariamente a quanto intendono farci credere gli editorialisti che, consapevolmente o meno, si comportano nei confronti dello zio Sam come "la voce del padrone", solo la lotta dei lavoratori statunitensi contro la disoccupazione, il razzismo e l’estrema destra, solo l'intensificazione della lotta dei popoli del mondo contro l'imperialismo, può portare l'imperialismo statunitense a ritirare i suoi artigli.

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