Tra Scilla e Cariddi: la zona euro si appresta alla prossima crisi finanziaria. Bloomberg Briefs

Con i tassi sui titoli obbligazionari ai record negativi è fin troppo facile per i leader europei dire che la situazione economica in Europa si è risolta. Ma è proprio così? In un'analisi su Bloomberg Briefs, Nicholas Spiro (di Spiro Sovereign Strategy) e Nick Stamenkovic (di RIA Capital Markets) scrivono come ci sono elementi di ottimismo nella zona euro. Ma oltre la superficie di un sentimento favorevole verso il blocco valutario tipico soprattutto delle leadership, i segnali della prossima crisi finanziaria stanno venendo a galla ogni giorno di più.

Sul fronte economico, scrivono i due esperti, mentre la Spagna ha ripreso a crescere oltre le aspettative, l'Italia continua la sua lotta alla stagnazione e il settore privato francese il suo crollo ormai costante. La ripresa mancata nel blocco valutario determina una situazione in cui lo spettro sempre più presente della deflazione rende la trappola del debito sempre più fuori controllo per un numero crescente di paesi. La deteriorazione dei fondamentali fiscali di Portogallo e Spagna, in particolare, è profondamente preoccupante in un'ambiente deflattivo come quello attuale della zona euro. E, difficile a crederci, la situazione è peggiorata ulteriormente dall'inizio della crisi: dal primo quarto del 2010, quando è esplosa la crisi finanziaria, la traiettoria del debito pubblico rispetto al Pil delle due economie è cresciuto di un 48 e 40% rispettivamente – 133% e 99% - aumenti che sono più o meno pari all'indebitamento pubblico in Irlanda. In Italia è avvenuto più o meno lo stesso...



Le preoccupazioni sulla sostenibilità di lungo periodo della periferia della zona euro fa emergere in superficie l'incapacità di aver slegato le sorti delle banche a quelle degli stati sovrani. La zona euro, proseguono i due economisti, è dentro lo Scilla della pressione politica e fiscale per porre fine al salvataggio sistematico delle banche e il Cariddi della paura di uno spostamento dal “bail-out” al “bail-in”, vale a dire il modello Cipro dei prelievi forzosi applicato a tutti i paesi della zona euro.
Spiro e Stamenkovic concludono in questo modo: "se i mercati inizieranno a legare tutti questi puntini – una ripresa debole e quasi assente, il fallimento nel non aver rotto il legame profondo tra le sorti delle banche e gli stati sovrani e, ancora più importante, le scarsissime possibilità di creare un'unione politica ed economica efficace – la sconnessione tra i prezzi azionari e i fondamentali sottostanti nella zona euro sarebbe una fonte di grandissima preoccupazione".
E anche Draghi, del resto, sta iniziando a percepire i limiti della sua onnipotenza: "Si deve impostare un campanello d'allarme che la stessa BCE - il cui impegno a sostenere i mercati del debito della zona euro (e tenere aperta la porta al quantitative easing) continua - è sempre più preoccupata per la mancanza di integrazione nel blocco". Il fatto che il presidente Draghi a Londra il 9 luglio scorso ha chiesto la creazione di una nuova governance economica per costringere i membri della zona euro – in particolare Francia e Italia – ad attuare riforme strutturali è una tacita ammissione della Bce che le sue politiche non sono in grado di riparare i problemi sottostanti nella zona euro.

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