Andrea Zhok - La lettera di 12 senatori Usa alla CPI: "Siete stati avvertiti"



di Andrea Zhok


Mentre l’esercito israeliano prosegue nella sua attività di bullismo omicida su Gaza, emerge la notizia della simpatica missiva inviata da 12 senatori statunitensi al procuratore capo della Corte Penale Internazionale Karim Khan. Come noto la CPI sta valutando, bontà sua, l’incriminazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e di altri alti funzionari israeliani in quanto responsabili diretti del più grande massacro di civili nel più breve tempo dal 1945. Che siano stati compiuti crimini di guerra a mazzi su base quotidiana a Gaza lo sa chiunque non si sia informato sui nostri tiggì.

Ma ciò che merita qui menzione è lo spirito della lettera dei senatori americani, che dopo aver spiegato le loro ragioni, alquanto idiosincratiche, per cui l’incriminazione non dovrebbe avvenire, passano nella chiusa a toni più consoni alla cultura da cui provengono:

“If you issue a warrant for the arrest of the Israeli leadership, we will interpret this not only as a threat to Israel’s sovereignty but to the sovereignty of the United States. Our country demonstrated in the American Service-Members’ Protection Act the lengths to which we will go to protect that sovereignty. (...) Target Israel e we will target you. If you move forward with the measures indicated in the report, we will move to end all American support for the ICC, sanction your employees and associates, and bar you and your families from the United States. You have been warned.”
[Se emetterete un mandato d’arresto contro la leadership israeliana, lo interpreteremo non solo come una minaccia alla sovranità di Israele ma anche alla sovranità degli Stati Uniti. Il nostro Paese ha dimostrato con l’American Service-Members’ Protection Act fino a che punto ci spingeremo per proteggere tale sovranità. (...) Prendete di mira Israele e noi prenderemo di mira voi. Se andrete avanti con le misure indicate nel rapporto, ci muoveremo per porre fine a tutto il sostegno americano alla CPI, sanzioneremo i vostri dipendenti e associati e bandiremo voi e le vostre famiglie dagli Stati Uniti. Siete stati avvertiti.]



Credo che questa lettera meriti un’adeguata riflessione.

Il primo elemento da osservare è il rapporto tra gli USA e la Corte Penale Internazionale. Gli USA (come Israele) non hanno mai sottoscritto il trattato di Roma del 1998 che istituiva la corte, non ne sono dunque membri e non si ritengono ad essa sottoposti, tuttavia la finanziano. Il finanziamento è naturalmente un modo elegante di influire sugli orientamenti della Corte, che procede con l’approvazione americana finché si occupa di violazioni dei diritti umani in Congo, Uganda, Sudan, Georgia, Burundi, Kenya, Libia, Costa d’Avorio, Mali e altri luoghi della “giungla” mondiale (cit. Borrell).

Il secondo elemento da osservare è il concetto di “ordine definito dalle regole” (rules-based order, noto anche come Liberal International Order) di cui gli USA e i loro vassalli si riempiono la bocca quotidianamente. Si tratta di un ordine ferreo e inflessibile, che può condurre anche all’annichilimento militare del violatore, salvo naturalmente il violatore non sia un amico, perché, come diceva Giovanni Giolitti, “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano.” E questo perché, per dirla con le immortali parole del Marchese del Grillo: “Io so io e voi non siete un cazzo.”

Il terzo elemento da sottolineare è il tono dell’ingiunzione dei senatori americani, che è quantomai caratteristico. Un elemento di lungo corso di buona parte della cultura americana è infatti la brutalità interpretata come schiettezza, la rozzezza travestita da pragmatismo. Si tratta di un elemento che corre in profondità nella cultura statunitense, ed è distintamente legata al modo in cui è nata. Questo tratto nasce inizialmente come lodevole rigetto dei formalismi aristocratici della Vecchia Europa nel nome della veracità popolare e della concretezza della “frontiera”. Ma gli USA divennero purtroppo con grande rapidità una potenza mondiale nella loro storia, e ciò non gli diede il tempo di elaborare quella sottile cultura informale che, almeno fino alla recente americanizzazione, ha contraddistinto la cultura europea, anche popolare. Divenuti una grande potenza non c’era più ragione di credere che ci fosse qualcosa da imparare perché nella cultura americana chi vince ha sempre ragione (l’offesa più sanguinosa verso qualcuno è dargli del “perdente” (loser)).

Ed è perciò che molto frequentemente la cultura espressiva americana oscilla tra la recitazione plastificata del Bene più zuccheroso e la brutalità del gangster.

Nella lettera al procuratore generale della Corte Penale Internazionale il tono è affine a quello di chi sta per farti trovare una testa di cavallo sotto il lenzuolo, solo un po’ meno elegante di Don Vito Corleone, che almeno adoperava perifrasi come “gli faremo un’offerta che non può rifiutare”.

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