Coronavirus, il liberismo e il principio di realtà


di Francesco Erspamer*


Il coronavirus è solo un piccolo, moderato esempio di cosa sia la realtà e di cosa possa la realtà.

La realtà se ne frega dei desideri umani, delle nostre esigenze e anche della giustizia; per questo le civiltà evolute inventarono le religioni: per dare un senso all’insensato e un nome a questa forza incomprensibile. Una forza che può restare inattiva per decenni e poi improvvisamente colpire: più frequentemente singole persone, a volte specifiche comunità, meno spesso su scala globale ma, prima o poi, immancabilmente.

Ci sono due opposte strategie per affrontare questa situazione. La prima è l’ignoranza: vivere alla giornata, godendosi il presente finché dura e senza pensare alle conseguenze delle proprie azioni e più spesso inazioni, tanto meno sugli altri o sui posteri, accontentandosi della speranza di essere fra i fortunati che il caso o l’evoluzione hanno deciso di risparmiare, o magari usando la furbizia per dare a sé stessi una possibilità in più. L’ignoranza è sempre egoista.

La seconda strategia è molto più faticosa e si fonda sul sacrificio e sulla preparazione, personale e collettiva. Freud appunto lo chiamava il principio di realtà, ossia la capacità di rimandare l’appagamento delle pulsioni, contrapponendolo al principio di piacere, che spinge all’istantanea soddisfazione degli istinti.

Gli argini, diceva Machiavelli, vanno costruiti quando il fiume è tranquillo e magari è sempre stato tranquillo; se si aspetta la piena, si può solo subirla.

Ma Machiavelli aveva letto i classici, che sono pieni di ammonimenti alla prudenza: qualcuno di voi ricorda il grande episodio biblico, nella Genesi, del sogno del faraone, le sette vacche grasse e le sette vacche magre, e dell’interpretazione che ne diede Giuseppe? Ci saranno sette anni di abbondanza, spiega Giuseppe, seguiti da sette anni di carestia; e consiglia al faraone di far mettere da parte ampie riserve durante la prosperità per sopravvivere nell’indigenza.

O forse ricordate le favole di Esopo, fino a pochi decenni fa scuola di morale per i giovani di ogni ceto, mescolandosi a ricche tradizioni popolari locali. In particolare la favola della cicala, edonista e imprevidente, e della formica, prudente e risparmiatrice, ripresa da La Fontaine duemila anni dopo.

Questa epidemia sta dimostrando che il liberismo ha indebolito, forse in maniera irrimediabile, il principio di realtà. Infatti la sua ideologia si esprime compiutamente nell’idea e nella pratica della cosiddetta realtà virtuale, un ossimoro in cui il significato è affidato all’aggettivo, non al sostantivo.

Molta gente ormai vive nella virtualità e senza di essa non sa vivere; di sicuro non si è preparata per affrontare la realtà e le limitazioni che comporta, dunque la nega e chiede più libertà individuale, cioè più virtualità.

Come Peter Pan, piuttosto che maturare, ossia cambiare, adattarsi, fare rinunce, lottare, preferisce rifugiarsi nell’isola che non c’è, l’isola dell’ignoranza. Fino alla prossima inattesa catastrofe.


*Professore all'Harvard University

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