G20. USA e Cina si promettono guerra

di Adriano Màdaro

Al G20 appena concluso il bilancio appare discutibile. L'Italia ha incassato la sua ambizione con il "bravo Mario" di Joe Biden, che non significa granché dopo ciò che è accaduto a Washington il 6 gennaio e a Kabul il 15 agosto.

Per il resto, a parte le tasse delle multinazionali da incassare ciascuno a casa propria e non più nei paradisi fiscali, il problema del clima è appeso a un mezzo compromesso essendo stata dichiarata, come data dello stop alle emissioni inquinanti, un'epoca "intorno alla metà del secolo"... Del resto è comprensibile se si pensa che "intorno al 2050" non ci sarà più quasi nessuno di quelli che hanno firmato l'"impegno" di ieri: tranne forse Trudeau, il giovane presidente canadese, tutti gli altri saranno morti da un pezzo. E quindi a chi interessa fissare una data se poi non sarà presente per rispettarla?

Considero invece un errore l'assenza da Glasgow del Presidente cinese Xi Jinping e di quello russo Putin. Due assenze per ragioni diverse, tuttavia inopportune. Quella cinese potrebbe meravigliare di più, sebbene abbia il chiaro significato di una progressiva rottura tra Cina e Occidente, foriera di derive inquietanti. La Cina è sotto attacco, lo ha denunciato anche ieri il ministro degli Esteri Wang Yi.

La Casa Bianca, non l'America, ha intrapreso, aggravandola, la posizione di lotta che sembrava prerogativa di Trump, e invece è Biden che sta premendo sull'acceleratore di un confronto con la Cina, ma dalla posizione di prima Potenza planetaria: America first, America is back! Secondo la sua visione guerrafondaia la Cina dovrebbe arrestare lo sviluppo della sua economia, arretrare a ruolo regionale, fermare le sue fastidiose avanzate tecnologiche (comprese quelle militari), rinunciare alle imprese spaziali, insomma non aspirare ai primati ma tornare a livelli dì potenza dimezzata.

Nella conferenza stampa, il Presidente Draghi appariva stanco ma visibilmente soddisfatto, e questo era ovvio, ma anche reticente sui temi non finanziari. Quella frase "intorno alla metà del secolo", azzardando a denti stretti un "2050", con la precisazione "più o meno", il che potrebbe essere "prima o dopo" (come dire "vivo o morto", pensando che possano equivalersi), ecco quella frase è la sintesi del G20 di Roma. E intanto in una stanza riservata Stati Uniti e Cina avevano iniziato manovre belliche per Taiwan, con sfondo ignaro la fontana di Trevi attorniata dai Grandi della Terra, divertiti nel gettarvi un euro a spalle girate."Torneròoo!"

Dunque il bilaterale Cina-Usa (Wang Yi e Anthony Blinken), complice il G20, è stato una vera pre-dichiarazione di guerra. Pomo della discordia Taiwan per la difesa della quale Biden (replicato da Blinken) ha promesso non solo l'aiuto militare americano, ma anche un intervento bellico contro la Cina. E Blinken lo ha ribadito incautamente al ministro degli Esteri cinese, addirittura minacciando la Repubblica Popolare se prenderà iniziative sull'isola, calcando la mano affermando che l'America proporrà l'ingresso di Taiwan come realtà geopolitica indipendente nelle varie organizzazioni internazionali. Wang Yi ha risposto duramente, accusando gli Stati Uniti di inaccettabile intromissione negli affari interni cinesi, mettendo in guardia Washington sulle prossime mosse poichè saranno considerate da Pechino atti bellici, come lo è già l'invio di truppe USA sul suolo di Taiwan. I due più significativi invitati a Roma si scambiano promesse di guerra e l'Italia, allegramente orgogliosa, incassa i meritati complimenti, incurante di essere seduta sulla mina che potrebbe far detonare una guerra mondiale. Ma non se ne parla!

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