Il “neo-autoritarismo” come via allo sviluppo democratico

di Diego Angelo Bertozzi

La politica di riforma e apertura attuata a partire dagli anni ’80 del secolo scorso da Deng Xiaoping aveva un punto un fermo: le riforme economiche e il via libera all’economia di mercato non avrebbero messo in discussione il potere di direzione e guida del Partito comunista cinese. Non ci sarebbe stato, quindi, alcuno spazio per riforme politiche di stampo occidentale.
E la Cina popolare che, dopo il recente Terzo plenum del Partito comunista, si avvia ad una nuova fase di riforme economiche sotto la guida di Xi Jinping, quella strada non pare la voglia abbandonare. In generale le riflessioni che provengono da diversi studiosi e think tank governativi, pure nelle diffidenze, convergono su una stessa conclusione: la Cina deve rigettare il modello occidentale per poter elaborare un proprio percorso democratico.
Qui sottoponiamo al lettore due articoli usciti all’inizio del 2014 sul Global Times - tabloid legato al Quotidiano del Popolo -, entrambi incentrati sulla necessità del “neo-autoritarismo” - o del “pugno di ferro” - per l’approfondimento delle riforme economiche, sociali e politiche.
Nel primo, “Iron fist at top needed to ensure proper democracy”, scritto da Wang Wenwen sulla base di un’intervista a Xiao Gongqin, professor di storia all’Università Normale di Shanghai, si legge questo: “Teoricamente, le politiche e le idee promosse da Deng hanno segnato l'arrivo del neo-autoritarismo in Cina. L'essenza delle idee di Deng è che l'autorità del Pcc non deve essere messa in discussione e la riforma e l'apertura devono essere mantenute per incrementare la produttività, indipendentemente dalle forme di proprietà. In altre parole, il mercato decide. Dalla fine del 1980 ai primi anni 1990, Deng ha sconfitto due forze che hanno sfidato le sue riforme. Una era quella dei radicali liberali pro-Occidente e l’altra quella dei conservatori che si opponevano alla riforma e apertura. Nel 1992, ha effettuato una visita nella Cina del sud, con la quale ha ribadito il suo dominio politico e scatenato una rapida espansione del mercato. In generale, un riformista di ferro come Deng rappresenta il neo-autoritarismo. Se diciamo che la corrente di Deng Xiaoping era la versione 1.0 del neo-autoritarismo della Cina, allora la corrente Xi Jinping epoca è la versione 2.0 del neo-autoritarismo.”
L’invito fatto al presidente cinese è quello di rafforzare il predominio ideologico e di potere perché solo la stabilità politica permette di spingere in avanti le riforme su larga scala per ridurre problemi sociali come la corruzione e l’ingiustizia. Alla prosperità e alla democrazia - con caratteristiche cinesi - si potrà giungere solo al termine di due decenni di tutela “neo-autoritaria”.
L’altro articolo “Neo-authoritarian reform needed in transition”, di poco successivo, è a firma di Wang Zhanyang, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche presso l'Istituto Centrale del socialismo. Anche a sua avviso una transizione graduale verso una forma di democrazia alla cinese è possibile solo sotto la guida di una forte leadership: “in numerosi momenti storici cruciali, molti Paesi hanno perso le opportunità della transizione pacifica alla democrazia a causa della mancanza di una leadership forte e quindi hanno pagato un prezzo troppo alto per la riforma”.
Ma, diversamente, dal suo collega, Wang paventa anche una possibile deriva “fascista” nel caso di una stagnazione nel processo di riforma. Il neo-autoritarismo è ritenuto un metodo transitorio indispensabile per portare a termine il progetto politico che Deng Xiaoping aveva solo potuto avviare.

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