Il Patto di Stabilità e la doccia fredda per i "socialisti per Draghi"

I socialisti per Draghi sono tutti in brodo di giuggiole per le dichiarazioni del presidente del Consiglio sul fatto che sarebbe «irrealistico» ritornare alle vecchie regole del Patto di stabilità.

Secondo alcuni sarebbe addirittura il segno che siamo entrati in un'era post-austerità.

Peccato che i numeri dell'ultima Nota di aggiornamento al DEF (NADEF) raccontino un'altra storia, cioè un percorso di riduzione del deficit dal 10% del PIL di oggi al 4% del PIL - per un totale di più di 100 miliardi di nuove entrate o minori spese - in poco più di un anno. L'economista Gustavo Piga l'ha giustamente definita «la più grande riduzione di deficit pubblico nella storia della Repubblica», roba da far impallidire anche le tasse e i tagli di Monti. D'altronde non può essere altrimenti: 100 miliardi è più o meno l'ammontare del prestito che l'Italia dovrebbe ricevere dall'Europa nel contesto del "Recovery Fund".

E poiché quei soldi andranno a pesare sul deficit, essi dovranno essere «compensati da riduzioni di altre spese o aumenti delle entrate [al fine di] riequilibrare la finanza nel medio termine dopo la forte espansione del deficit», come si legge nel PNNR. Il saldo finale, insomma, sarà praticamente nullo.

Come commenta sempre Piga: «Non sono infatti numeri casuali: sono frutto di quella promessa che il governo italiano ha fatto, implicita nell’accordo sottostante al Recovery Fund, che l’Italia accede a questi fondi purché… si cimenti nell’austerità richiesta dall’Europa appena fuori dal COVID. Con una mano si dà, con l’altra si leva. Cosa si leva? La crescita».

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