La guerra mondiale e gli interessi militari-industriali


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Nel giorno dell’insediamento ufficiale di Vladimir Putin, per il suo quinto mandato alla Presidenza della Russia, i titoli “fine di mondo” dei (purtroppo) quotidiani italici allertano le sirene antiaeree, come da raccomandazione espressa di Bruxelles, su Mosca che, in vista delle cosiddette “elezioni europee”, «spaventa gli elettori per aiutare i partiti anti-Ucraina», dando il via a «esercitazioni volute dal Cremlino per mostrare al mondo la capacità nucleare russa».

Di primo acchito: qualcuno si ricorda che, più o meno da quelle parti, direttamente ai confini russo-bielorussi, e facendo seguito a manovre NATO che ormai da almeno una quindicina d’anni si susseguono praticamente senza soluzione di continuità, sono in corso tutt’ora altre “esercitazioni” di quel blocco aggressivo, le “Steadfast Defender”, cominciate a metà aprile e che, con appellativi diversi e la presenza di oltre novantamila militari USA-NATO, si protrarranno in alcuni casi fino a fine giugno e che, di fatto, altro non sono che una vera e propria preparazione alla guerra?


Se lo ricordano, per caso, dalle parti di Repubblica e Stampa, ma anche del (fu) il manifesto? Si ricordano che, a “esercitazioni” finite, la maggior parte di quelle truppe rimarranno in via permanente a presidio del cosiddetto “fianco orientale della NATO”? Si ricordano del becerio che da settimane si libra nell’aere, sull’invio ufficiale (non ufficialmente, da anni migliaia di militari di paesi NATO sono presenti, come “istruttori”) di truppe in Ucraina?

Insomma: crediamo che quei signori si ricordino perfettamente di tutto questo; ma, ovviamente, obbediscano all’ordine di tacere.

Lo faranno certamente anche il prossimo 20 maggio quando, a distanza di tredici giorni dal giuramento a Mosca del «tiranno” (Stampa), a Kiev scadrà definitivamente il mandato del golpista-capo che, annullate le presidenziali di marzo, a quel punto si troverà a essere, oltre che nazista dichiarato, pienamente illegittimo anche dal semplice punto di vista del liberalismo borghese, che però, si sa, in certi casi, viene spavaldamente bypassato.

Di fatto, posto che il Cremlino ha solamente annunciato esercitazioni per l’eventuale impiego di armi nucleari tattiche sul teatro ucraino, non è forse il caso di ricordare le parole di Emmanuelle Macron sull’invio di truppe in Ucraina, o di David Cameron sulla possibilità che missili britannici colpiscano il territorio russo, o di Andrzej Duda sul dispiegamento in Polonia di armi atomiche yankee? O ancora: il dislocamento di missili USA a medio raggio nelle Filippine? In ogni caso è indicativo, nota David Narmanija su RIA Novosti, che siano trascorse appena pochissime ore dall’annuncio di Mosca, che già il braveheart Macron si sia affrettato a dichiarare che la Francia non è in guerra né con la Russia né col popolo russo.

Qualcuno si è forse cautamente messo a fare il “grillo parlante” ammonitore, provando a dire che la faccenda della “coalizione dei volenterosi antirussi” rischia di evolversi precipitosamente – e non è per nulla piacevole – in un confronto per cui a un dispiegamento su larga scala di truppe NATO in Ucraina, Mosca potrebbe rispondere non armi convenzionali, ma con la loro eliminazione fisica per mezzo di ordigni nucleari, pur “solo” tattici.

Per il momento: solo potrebbe.

Ma, a forza di becerate su «l’Ucraina non può perdere» e di «mandiamo le truppe», come se si trattasse varcare la Berèzina con qualche reggimento di ussari in direzione di Smolensk, per «impedire alla Russia» di oltrepassare la “linea rossa” della vittoria in Ucraina, i rischi stanno aumentando in maniera esponenziale.

D’altronde, come ricorda opportunamente Vasilij Stojakin su Ukraina.ru, lo stesso Macron, quando traccia la propria “linea rossa della Russia”, pensa non tanto al destino dell’Ucraina (forse che, del resto, qualcuno dei padrini occidentali di Kiev pensa davvero alla «difesa della democrazia ucraina»?) quanto ai materialissimi interessi francesi, per dire, su Odessa; più precisamente: agli interessi delle corporation agro-alimentari, anche francesi, che operano attraverso i terminal sul mar Nero.

Altro esempio di “linee rosse”, tracciate o tracciabili, è quello riportato da Repubblica, sul possibile impiego di aviazione o addirittura di forze di terra per 100.000 unità da Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia e Paesi baltici: una cifra che, di per sé, non inciderebbe granché sull’equilibrio di truppe, ma costituirebbe, forse, l’ultimo passo per arrivare allo scontro diretto con la Russia, facendosi scudo con una – a loro dire – “interferenza” bielorussa, che qualcuno potrebbe bellamente provocare inscenando qualche bravata del tipo del “Corpo volontario russo”, diretta questa volta contro Minsk. Altra sceneggiata, potrebbe essere – in effetti, qualcuno l’ha già ventilata – una “provocazione violenta russa” contro i poveri polacchi, baltici, o moldavi. Ecco che, stando a Repubblica, le “linee rosse” verrebbero baldanzosamente oltrepassate, e senza che Mosca muova un dito; del tipo: pensiamo noi a tutto e Mosca si ritrova fregata.

Ma, quei signori di Bruxelles, Parigi, Roma, Berlino, Varsavia, giocano davvero a fare gli stupidi? Pensano davvero di potersi permettere, come si dice, di “aprir bocca e lasciar andare” qualunque sproposito, perché comunque, “bravi e forti come noi non c’è nessuno” e possiamo fare noi “il bello e il cattivo tempo”? A che gioco stanno giocando? Dove pensano di poterci portare? Ragionano forse da un punto di vista di forze militari? E pensano di averne a sufficienza per poter colpire chiunque e dovunque, standosene loro al riparo degli ombrelloni in spiaggia? Loro, che si pavoneggiano a generalissimi e che, a quanto pare, si affidano a un calcolo “serissimo”, tipo «noi siamo 27: come vuoi che faccia a vincere uno solo contro tutti noi?», potrebbero almeno fare il semplice sforzo di ricordare una delle più elementarissime locuzioni di Clausewitz, secondo cui «il cosiddetto calcolo matematico non trova alcun saldo punto d’appoggio nei calcoli dell’arte della guerra; e che già fin dal principio la guerra si estrinseca in un giuoco di possibilità, probabilità, fortuna e sfortuna». Nulla di più. Basterebbe ricordare questo. Ma niente.

In ogni caso, oltre che con le dichiarazioni russe all’indirizzo di Cameron, sul colpire obiettivi britannici anche fuori dell’Ucraina, in caso di attacchi missilistici inglesi, pare averci opportunamente pensato il “placido” Xi Jinping a rimettere le pedine (o meno ancora) al loro posto sulla scacchiera. E, sottoscrivendo a Parigi ben 18 accordi franco-cinesi, Xi ha avuto buon gioco nel “pacificare” ulteriormente le spinte da Grande Armée del XXI secolo e nel rintuzzare le smanie “pacifiste” macroniane in terra svizzera secondo la “Formula Zelenskij”, avendo da spalla Pechino: la Cina non si presterà affatto a tali sceneggiate, in cui si stabiliscano le “condizioni di pace” in assenza di una delle due parti e secondo i dettami dell’altra: o meglio, secondo i piani di coloro a cui Kiev è chiamata a fare le veci.

E alle suppliche di Macron, nota sarcasticamente Irina Rinaeva su Komsomol’skaja Pravda, di rispettare almeno il cosiddetto “armistizio olimpico” in vista delle Olimpiadi in Francia, il presidente cinese ha acconsentito senza sforzo, portando però immediatamente il discorso non sull’Ucraina, ma sulla Palestina e, a proposito della prima, ha detto papale papale: «Noi appoggiamo l’idea di una conferenza di pace con la partecipazione di Russia e Ucraina». Accontentato o no, Macron ha ingoiato. E ha dovuto sorbirsi anche un bel meritato «Noi siamo contrari all’utilizzo della crisi ucraina per accusare altri, denigrare un paese terzo e provocare una nuova guerra fredda», che sta precipitosamente trasformandosi in caldissima.

Che poi, detta in termini crudi: i complessi militari-industraili mondiali hanno interesse a che il conflitto vada avanti, se non all’infinito, almeno il più possibile e non che finisca di punto in bianco perché si è arrivati all’uso di “arma fine di mondo”.

Lo diceva esattamente cinquant’anni fa persino il grande Alberto Sordi: «finché c’è guerra...».

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