La riforma hukou: per la millenaria storia della Cina una vera e propria rivoluzione


La circolare del Consiglio di Stato cinese del 30 luglio, che avvia la riforma del sistema dell'hukou, rappresenta un decisione senza dubbio storica per la Repubblica popolare, che si aggiunge a quella, sulla fine – progressiva – della politica del figlio unico. Anche in questo caso si procederà a tappe, sperimentazioni, e a livelli differenziati, “attraversando il fiume sulle pietre”. Ma un dato è certo: in futuro non ci sarà distinzione fra lavoratori agricoli e lavoratori urbani.
Non ci troviamo di fronte ad una sorpresa. Di una riforma del permesso di residenza (“hukou”), introdotto negli anni '50 e che stabilisce che i membri di una famiglia godano di diritti e servizi sociali sono nella località di residenza, se ne era parlato, senza molte specificazioni, nel terzo plenum del Partito comunista (novembre 2013), preceduto da un piano di 5 miliardi di euro presentato dal premier Li Keqiang per dare una nuova spinta al processo di urbanizzazione. Un processo che ha portato al dato del 2011 con la popolazione urbana che per la prima volta superava quella rurale: dagli anni '70 ad oggi, 300 milioni di cinesi – come se si muovesse l'intera popolazione dell'Unione europa! - hanno lasciato le campagne a favore delle città, alla ricerca di lavoro e opportunità. Per la millenaria storia della Cina una vera e propria rivoluzione se si pensa che, per essendo sempre stata una civiltà di tesori urbani (si pensi alla Chang'an degli Han, alla Daxing dei Sui e ancora alla Chang'an dei Tang), le città, con palazzi e mura, segnavano più la distanza del potere imperiale dal popolo, della burocrazia sapiente dalle masse rurali. Il disordine è da sempre il massimo timore per la dirigenza dell'ex Celeste Impero.
Molti di questi immigrati lasciavano, e lasciano tutt'ora, le campagne - quindi la garanzia di servizi sociali – per cercare lavoro, come manodopera a basso costo e in condizione di sostanziale clandestinità, nelle molte imprese cittadine, quelle delle costruzioni su tutte, per poi tornare nel luogo di registrazione nei periodi di interruzione dei lavori. Una massa fluttuante, poco controllata, sfruttata, e che non porta benefici alla collettività... ma rischi di disordine, appunto.
Quali sono gli scopi della riforma? C'è, innanzitutto, l'urgenza di regolare una immigrazione interna disordinata che potrebbe intasare città già sovrappopolate e creare, quindi, esplosivi problemi sociali (corruzione, mercato nero). Per questo la volontà di Pechino è quello di dirigere la futura immigrazione – si parla di altre 100 milioni di persone da qui al 2020 – verso centri piccoli e medi, per creare una fascia urbana che noi definiremmo a “misura d'uomo”, caratterizzata più dalla qualità dei servizi che dalla quantità. Ad essere disincentivata sarà, quindi, la possibilità di registrazioni nelle grandi città.
Ma è dal punto di vista economico che le conseguenze saranno più importanti. La decisione si inserisce senza dubbio nella volontà più volte esplicitata dalla dirigenza cinese di guidare la crescita economica dall'orientamento all'esportazione allo sviluppo di un mercato interno potenzialmente senza fondo. I lavoratori immigrati potranno godere nella zona di impiego degli stessi servizi sociali dei residenti cittadini (sanità, istruzione, previdenza), utilizzando la propria quota di risparmio per alimentare i consumi interni. Siamo di fronte ad un nuovo passo verso la creazione di una sempre più diffusa classe media cinese. Anche se un sondaggio riportato dal Shanghai Daily segnala come molti lavoratori non siano d'accordo con l'avvio della riforma: la registrazione sarebbe per ora più vantaggiosa in campagna e il proprio terreno resta una forma di garanzia alla quale non si rinuncia facilmente.
Diego Angelo Bertozzi

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