L'attacco al salario e il golpe del 1992

22 Maggio 2022 13:04 Pasquale Cicalese

Occorreva accelerare la guerra al salario iniziata a metà degli anni settanta ad opera della Trilaterale, dove partecipavano Rockfeller, Agnelli e Kissinger, tra gli altri.

Occorreva tagliare il salario nominale, il salario sociale globale di classe (comprensivo, cioé, di servizi pubblici gratuiti o a “prezzo politico”), diminuire i servizi pubblici, flessibilizzare la forza lavoro, togliere l’intervento pubblico nell’economia.

Era necessario sostenere il mercato che, a partire dalla fine degli anni Sessanta – vuoi per la lotta di classe, vuoi per la modifica della composizione organica del capitale (più capitale morto rispetto al capitale vivo) – aveva una forte crisi di profittabilità.

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L’attacco era già cominciato con il divorzio Banca d’Italia e Tesoro, a cui si opponeva Paolo Baffi, governatore (celebrato da me nel mio libro), e per questo arrestato nel 1979, con una accusa falsa, dal giudice Alibrandi (padre di un membro dei Nar e considerato vicino ad Andreotti).

Protagonista del “divorzio” fu invece Beniamino Andreatta – con Ciampi governatore di Bankitalia – nel 1981.

Venne il golpe del 1992, prima a febbraio con la ratifica del Trattato di Maastricht e, poi, con Mani Pulite, iniziata proprio a febbraio con Mario Chiesa. Gli italiani erano inebriati dalle manette, dal cambio di regime.

Solo il sindacalismo di base si accorse nell’autunno cosa stavano preparando, promuovendo una manifestazione nazionale a Milano (dove partecipai, non ancora ventiduenne), accusando Amato di fare peggio del fascismo.

Tutti i media erano inquadrati, proprio come adesso. Si smantellarono sanità (di cui parlo nel libro), scuola, fu abolita del tutto la scala mobile, venne inaugurato il lavoro interinale e ad intermittenza.

Tutto per la “liquidità” della forza lavoro in vista di una ripresa della profittabiltà d’impresa, cosa avvenuta, a scapito dei salari, e riversata sul canale finanziario. Fu allora che si impoverì il sistema industriale, anche grazie alle privatizzazioni, allo smantellamento di siti produttivi e alle delocalizzazioni.

Una storia da riscrivere.

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