Obama e l’invito all’unità contro Pechino: il nuovo "pericolo giallo"


Una "Union sacrée" con i repubblicani in funzione anti-cinese: così Obama potrebbe caratterizzare la politica estera statunitense nei suoi ultimi due anni da presidente. Una politica di conteinment commerciale bipartisan, di complemento al già impostato "Pivot to Asia”, in nome della conservazione del primato mondiale di Washington. Nel suo penultimo discorso sullo stato dell’Unione, Obama ha lanciato l’allarme sulle intenzioni di Pechino di “dettare regole che porranno i nostri lavoratori e le nostre imprese in condizioni di svantaggio”.

Un chiaro riferimento ai sempre più numerosi accordi di libero scambio che la Cina ha stipulato negli ultimi anni e alla prospettiva che, proprio in Asia, prenda corpo quel Free Trade Agreement for the Asia-Pacific (FTAAP) che all’ultimo vertice Apec ha messo in ombra la proposta statunitense del Trans Pacific Partnership (TPP) che vede escluso proprio il gigante asiatico. E ai repubblicani Obama ha chiesto l’appoggio per dare slancio ad un accordo che permetterebbe agli Stati Uniti di scrivere “le regole per la regione del mondo con la più rapida crescita economica”. Un accordo che si sostanzia con la concessione di poteri straordinari contenuti nella “Trade promotion Authority” - vale a dire l’autorità di negoziare accordi commerciali che il Congresso può approvare o meno ma non modificare - per impedire che produzioni e posti di lavoro si spostino sempre più in Cina.
Le accuse rivolte alla Cina popolare non sono certe nuove e non destano sorpresa. In passato a rappresentare il “pericolo giallo” - dal punto di vista economico - era stato il Giappone, nonostante una pluridecennale alleanza militare in funzione anti-comunista. Nel settembre del 1985, pochi giorni dopo il Plaza Accord che diede via libera in sede G5 ad un nuovo deprezzamento del dollaro per aiutare la manifattura americana, l’amministrazione Reagan denunciò le politiche scorrette di alcuni Stati asiatici con una serie di minacce di chiusura del mercato statunitense per costringerli a limitare volontariamente le loro esportazioni nello stesso. Allora era proprio il Paese del Sol Levante a piegare a suo piacimento - e a suo esclusivo tornaconto - le regole del commercio internazionale, dedicandosi al furto di conoscenze, allo spionaggio industriale, mettendo così in difficoltà i lavoratori statunitensi.
Diego Angelo Bertozzi

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