di Federico Giusti
Il sindacato responsabile è fautore della nostra sconfitta culturale, politica e sociale. La incapacità di leggere i processi in atto è invece risultato della subalternità ideologica e culturale al capitale.
E' singolare che siano stati proprio i Governi di centro sinistra a introdurre le normative più involutive in materia di lavoro, singolare fino a un certo punto, semmai la conferma degli interessi materiali rappresentati dal Partito democratico la cui nascita andrebbe letta non come fatto accidentale o risultato dei processi di democratizzazione delle realtà comuniste. Dopo anni di compromessi storici, ombrelli della Nato e capitalismo dal volto umano nelle sembianze cooperative la presenza di un Partito comunista era solo impedimento per la svolta liberalista della sinistra italiana. Dalla fine degli anni ottanta ai nostri giorni i rapporti di forza tra capitale e lavoro sono profondamente cambiati, i salariati hanno perso potere di acquisto e di contrattazione, il capitale ha acquisito crescente forza, il sindacato sperava nella concertazione mentre andava trasformandosi da strumento conflittuale a un vasto agglomerato di interessi come dimostrato da caf , patronati , assicurazioni, pensioni e sanità integrative
Sul finire degli anni ottanta, insieme al dio mercato, ha acquistato spazio e potere un insieme di concetti e di pratiche sociali e produttive elevate nel tempo al rango di un pensiero forte e dominante. Stiamo parlando di meritocrazia, produttività, flessibilità, precarizzazione del lavoro.
Il rapporto tra flessibilità e precariato, tra delocalizzazioni produttive e bassi salari dovrebbe indurci a rivedere anche il tradizionale linguaggio ormai introiettato dalla classe lavoratrice, capita sovente imbatterci in sindacalisti subalterni alla meritocrazia e all'idea che a governare il salario debbano essere i parametri imposti dalla produttività.
Per anni la sinistra ha raccontato ai lavoratori che la Costituzione avrebbe impedito la distruzione dello stato sociale e la partecipazione alle guerre, sarebbe stata un ostacolo insormontabile per le politiche anti operaie.
La storia dimostra invece l'esatto contrario, anzi oggi a sinistra troviamo i fautori dell'autonomia differenziata come ieri erano sostenitori del pareggio di bilancio in Costituzione.
Anche i famosi giuslavoristi di sinistra, nel tempo, si sono dimostrati delle tigri di carta finendo spesso sul libro paga di Governi e Fondazioni padronali o hanno offerto direttamente al capitale i loro servigi trasformando la critica ai processi in atto in cieca obbedienza o prassi giustificatrice.
In questi scenari la nascita della Ue ha giocato un ruolo determinante di cui non si è mai parlato a sufficienza preferendo assumere posizioni, spesso astratte, a favore o contro la moneta unica senza mai prendere in esame l'impianto generale della Unione Europea, delle scelte operate dalla stessa in ambito economico e finanziario.
Sono lontani i tempi nei quali ci si opponeva, correva l'anno 1997, contro il c.d. pacchetto Treu (legge delega n. 196/1997) che dette il via al lavoro interinale e alla collaborazione coordinata e continuativa.
A distanza di quasi 40 anni dal divieto di intermediazione nel mercato del lavoro, quella battaglia storica , agli albori degli anni sessanta del secolo scorso, del movimento sindacale veniva archiviata in un batter d'occhio.
Poi è arrivato il Decreto Legislativo n. 368/2001 con la liberalizzazione del contratto a termine, questa volta una decisione comunitaria recepita da un Governo di centro destra, stesso esecutivo che nel 2003 darà vita alla Legge Biagi, il Decreto Legislativo n. 276/2003 dilatando definitivamente i confini della precarietà ma allo stesso tempo riducendo gli spazi di manovra per l’impugnazione di contratti a termine nei cambi di appalto.
Non vogliamo fare la storia di 30 anni di controriforme ma serve almeno ricordare la revisione dello Statuto dei lavoratori, la fine della reintegra nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, anno 2012 con il Governo Monti che licenzia anche la legge (Fornero) con cui viene innalzata l'età pensionabile