SI PUO' MORIRE MACELLATI PER STRADA A 13 E 15 ANNI? I CRIMINI D'ISRAELE CONTRO I BAMBINI


di Paola di Lullo
No, non è accettabile. Non si può morire a 13 o a 15 anni. Noi, figli della cosiddetta società civile, riusciamo con grande fatica e dolore, a sopportare la morte, per incidente o per malattia, dei nostri figli adolescenti.
I ragazzini palestinesi muoiono in strada, crivellati di colpi, abbandonati alle loro sofferenze. Soli. Nessuno tiene loro la mano. Nessuno può avvicinarsi a soccorrerli. Un ufficiale israeliano decide che non è sufficiente aver "neutralizzato" chi riteneva una minaccia per la propria vita. La vendetta si compie con la morte per dissanguamento, per terra. Senza un volto familiare che li accompagni nel trapasso. L'ultimo volto che vedono è quello del loro carnefice.

E non muoiono in guerra, durante un bombardamento. Nemmeno a Gaza, dove non è mai stata guerra, ma massacro. Da condannare ugualmente, con forza, perché i bambini sono sempre le prime e più innocenti vittime di ogni guerra. Nei Territori Occupati non c'è guerra, c'è occupazione militare. Questi figli muoiono perché, a volte, decidono di reagire ad una vita di umiliazioni e sopraffazioni e, da soli, si avventurano con le loro armi giocattolo a sfidare l'esercito israeliano. Armi giocattolo, sì. Perché cos'altro può essere un coltello, assai spesso inesistente, tra l'altro, di fronte all'armamentario di cui son dotati tutti i militari israeliani? Cosa può essere un ordigno esplosivo, confezionato chissà come, nelle mani di un quindicenne?
Sabato è stata uccisa Ruqayya Eid Abu Eid, 13 anni, di Yatta, a sud di Al Khalil. Avrebbe cercato di accoltellare una guardia di sicurezza israeliana nell'insediamento illegale di Anatot. Ma nessun israeliano risulta ferito. Invece, la famiglia di Ruqayya ha perso una figlia con tutta la vita dinanzi a se.

Intorno all'1,00 della stessa notte, è morto Mohammed Nabil Halabieh, 15 anni. Avrebbe tentato di lanciare un ordigno esplosivo in un accampamento israeliano ad Abu Dis, ad est di Gerusalemme. Secondo fonti israeliane, l'ordigno gli sarebbe esploso tra le mani. Secondo fonti palestinesi, il ragazzino sarebbe stato crivellato di colpi. Impedito l'accesso all'equipaggio della Mezzaluna Rossa Palestinese, cui è stato riconsegnato il corpo, a morte avvenuta, solo all'alba della mattina di domenica. Mohammed sarebbe stato sparato alla testa, all'addome, alle mani, ad una gamba. O forse no. Forse davvero l'ordigno gli è esploso tra le mani, ed i suoi resti erano coperti di bruciature e ferite esplosione. Ciò non ridimensiona la tragicità dell'accaduto. Cosa spinge un ragazzino di 15 anni a compiere un gesto così estremo, pericoloso per la sua stessa vita? Anche in questo caso, nessun israeliano risulta ferito.
Chissà cosa sognavano Ruqayya e Mohammed. Cosa avrebbero fatto da grandi? C'erano un ragazzino o una ragazzina a far battere i loro giovanissimi cuori? Cosa amavano fare? Com'era la loro vita? Quanti fratelli o sorelle avevano? I loro amici? I loro desideri? Cosa li faceva ridere, nonostante tutto? E le umiliazioni quotidiane? Quanto hanno pesato sulle loro scelte?
Certo, se colpevoli, avrebbero dovuto essere arrestati, processati, condannati. Ma tutto ciò avrebbe presupposto che fossero stati lasciati in vita.
Non è il tempo delle polemiche, però, questo. È il tempo del dolore. La Palestina ha perso altri due fiori, altri due angeli sono in cielo.

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