di Francesco Erspamer*
Adesso si capisce come mai i media, ormai al diretto servizio dei poteri forti, abbiano sparso a piene mani il terrore da coronavirus. Perché l’industria della salute è di gran lunga, già adesso e ancor più in prospettiva, la maggiore fonte di arricchimento dei miliardari e delle multinazionali, ed è da qualche decennio che immense risorse vengono impegnate dalle lobby per portare alla privatizzazione dei sistemi sanitari, a imitazione degli Stati Uniti. Quale è la tattica? La solita: convincere la gente con campagne mediatiche ossessive che le tasse vadano tagliate (se no come regalano il SUV al figlio diciottenne o, i meno abbienti, l’iPhone d’ordinanza?), in modo da ridurre i finanziamenti alla sanità pubblica e poterne poi denigrare l’efficienza, chiedendo a quel punto regionalizzazioni e privatizzazioni.
Il problema è che il coronavirus sta impietosamente rivelando cosa succede a ridurre i finanziamenti degli ospedali, per necessità o anche “per evitare inutili sprechi”, come amano ripetere i liberisti, statistiche alla mano (ovviamente manipolate o tendenziose). Succede che in caso di emergenza si è impreparati; e neanche c’è bisogno che si tratti della peste, di un catastrofico terremoto o di una guerra, basta un’influenza un po’ aggressiva. Siete sorpresi? Colpa vostra; il liberismo non ha mai nascosto che il suo orizzonte è estremamente ridotto: gli investimenti hanno senso solo se danno enormi profitti entro un anno, e così i rischi sono tali solo se immediati. Del doman non v’è certezza e dunque chissenefrega del futuro.
Ecco, questa è la ragione del panico. Bisogna impedire che la gente si accorga che a dar retta ai liberisti ci si trova nella condizione di non poter aiutare i malati. Perché i privati, occupati solo a far troppi soldi, mica investono in reparti di terapia intensiva che magari resterebbero sottoutilizzati. Le emergenze non rendono, dunque si fa finta che non possano accadere. Lo confermano i big data, ossia la banalità elevata a statistica. Meglio allora chiudere le scuole, i locali, fermare i treni, mettere in stato d’assedio le città, rischiare una recessione, scatenare l'odio degli imbecilli contro i più deboli e anziani, pur di riprendere al più presto l’assalto ai beni comuni e alle strutture pubbliche.
La soluzione? Rinazionalizzare tutti i servizi di importanza strategica, a cominciare dalla sanità ma per arrivare presto ai trasporti e all’educazione. Se i privati vogliono competere, fatti loro: ma senza alcun contributo statale, neppure indiretto, alcuna facilitazione, alcuna riduzione fiscale.
*Professore all'Harvard University
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