Cosa resta dell'Unione Europea dopo il discorso del Re Macron?


Nonostante la Costituzione repubblicana, il presidente della Francia è un vero e proprio monarca, con poteri sul suo Paese superiori a quelli del Presidente degli Stati Uniti. Sarà per questo che una persona sicura di sé e ambiziosa come Emmanuel Macron si senta anche in diritto e dovere di presentarsi all’Europarlamento come il Re dell’Europa. Molto più realisticamente, si può dire che attualmente il presidente francese è di sicuro la figura di riferimento per tutti gli europeisti intimoriti dal crescente sentimento di rigetto nei confronti di quel maledetto straccio blu con 12 stelle.

È stato un grande oratore il Macron visto al Parlamento europeo di Strasburgo. Ha sostenuto l’idea di un’Europa ambiziosa, coraggiosa, in grado di vincere questa guerra civile che sta flagellando la comunità, un conflitto causato dal costante sentimento d’attrazione nei confronti della democrazia illiberale (ogni riferimento a Polonia e Ungheria era voluto). Macron ha detto che alla “democrazia autoritaria” bisogna rispondere con “l’autorità della democrazia”, che al sovranismo delle nazioni bisogna rispondere con la sovranità dell’Unione europea. La solita narrativa del sol dell’avvenire europeo, ma stavolta è stato identificato un nemico preciso da sconfiggere, elemento indispensabile di ogni costruzione ideologica. Oltre ai vari partiti sovranisti e populisti sparsi in tutta le nazioni della Ue, il discorso di Macron segna un solco ben preciso tra il blocco dell’Europa occidentale e quello orientale.

Se vogliamo provare a prenderla sul serio, questa chiamata per un’Europa forte e autorevolmente democratica (o democraticamente autorevole?) pone più domande che risposte. Che cosa significa “sovranità europea”? Le differenze tra gli interessi dei paesi della Ue sono troppe, per non parlare delle differenze politiche interne, democrazie dove diventa sempre più difficile formare governi e identificare in maniera chiara i fronti politici. La stessa concezione di Stato e Democrazia è diversa da nazione a nazione, per non parlare delle visioni dell’economia e sul tipo di società. Tutto questo non può certo essere cambiato da un discorso di Macron, che anche con i recenti raid in Siria ha dimostrato di non avere nessuna intenzione di condividere la sovranità con i partner della fratellanza europea, né la visione del mondo e la decisione su ciò che è bene, ciò che è male e ciò che è accettabile come un male necessario.

Al di là dello storytelling infatti il presidente francese sa benissimo in che situazione è l’Unione europea. Nel suo bel discorsone si è guardato bene dal prendere di petto la Germania per la sua riluttanza ad impegnarsi in riforme comunitarie e solidaristiche dell’eurozona, si è limitato a dire – come sempre, come tutti – che c’è urgentemente bisogno di una riforma dell’eurozona è che la Francia è pronta ad aumentare il suo contributo al bilancio della Ue, come se fosse solo questione di qualche soldo in più che vada a tamponare una delle tante situazioni sbagliate presenti nel continente a causa di decenni di politiche comunitarie scellerate. Questo discorso del tipo “o con noi o contro di noi” è molto rischioso. Mettersi a dividere l’Europa in paesi buoni e cattivi è esattamente la cosa che non bisogna fare, tutte le nazioni con un minimo di orgoglio non si faranno bollare come cattivi da nazioni che non hanno nessuna superiorità morale per farlo.

Tutti gli europei meritano rispetto, una costruzione grande come quella dell’Unione europea ha senso solo se serve a proteggersi, non a scannarsi in un conflitto commerciale interno dove oltretutto a dettare le regole sono i più forti. Come può pretendere Macron di presentarsi come alfiere “dell’autorità della democrazia liberale” e poi adottare una postura autoritaria nella gestione dei fatti suoi? Prendiamo l’esempio dell’immigrazione, che ci riguarda direttamente. Macron propone di mettere a bilancio dei fondi europei destinati alle comunità che accettino di “accogliere” i migranti. Come si sta comportando la Francia alla frontiera dell’Italia lo sappiamo bene, quella dei transalpini è una politica di respingimento – se serve anche molto violento – dei migranti indesiderati. Pensare di risolvere il problema semplicemente dando dei soldi a delle aree che, magari a causa della loro debolezza economica, siano disposte ad accettare questa opzione come una delle poche opportunità di fare girare un po’ di spesa pubblica sul proprio territorio è una concezione infame dello spazio europeo. Esattamente quella concezione che sta alimentando il rischio di quella “guerra civile europea” paventata da Macron.

Sulla riforma dell’Eurozona, più delle parole di Macron vale quello che è successo nel Bundestag un paio di giorni prima dell’intervento di Re Macron. Il gruppo parlamentare della CDU/CSU ha presentato un documento che si oppone alla trasformazione del MES in una variante all’europea del FMI affossando sul nascere ogni discussione sulle riforme dell’eurozona proposte dal presidente francese. Il giorno prima invece, sempre al Bundestag, Angela Merkel aveva dato delle rassicurazioni sulla necessità di fare qualche riforma dell'Unione europea, ma senza entrare nel dettaglio e soprattutto senza parlare dell'eurozona. La Merkel e Macron si sono poi incontrati a Berlino, ma al di là delle foto e delle dichiarazioni di rito il vertice non è andato bene. Nonostante le dichiarazioni di circostanza sulla volontà di trovare un’intesa, la differenza di vedute sulla riforma l’eurozona è emersa chiaramente. Il Re francese ha sottolineato la necessità di una maggiore solidarietà tra i 19 membri dell'eurozona affermando che nessuna unione monetaria può sopravvivere senza elementi di convergenza, l’Imperatrice tedesca ha invece ribadito che la solidarietà non deve minare la competitività e ha sottolineato che gli Stati devono essere responsabili dei rischi delle loro scelte di politica economica. Il risultato dell’incontro è la promessa di parlarne ancora. Per il vertice Ue previsto a giugno la Merkel ha assicurato che affronterà insieme a Macron “i grandi temi centrali” per garantire il rilancio dell’Europa. Tutte parole al vento insomma.

Chi ancora vi racconta della prospettiva di una riforma dell’eurozona che prevede un bilancio comune destinato alla zona euro e un ministro delle finanze dell’eurozona vi sta mentendo, e molti rispettabili commentatori italiani continuano a farlo nonostante le scarse probabilità della realizzazione di questo progetto siano ormai un dato di fatto delle principali testate internazionali (Financial Times, New York Times ecc.). Adesso bisogna capire se il messaggio è arrivato anche alla leadership italiana, che come sempre a tutto pensa tranne che a concepire l’Italia come un soggetto geopolitico padrone dei suoi limiti e delle sue capacità invece che uno stato vassallo costantemente afflitto dalla preoccupazione di non riuscire a fare una bella figura con il padrone.

Federico Bosco

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