Bielorussia, Lukashenko fa ancora la voce grossa con Mosca



di Fabrizio Poggi

Dopo un periodo relativamente lungo, durante il quale non si era avuto sentore – quantomeno, non pubblicamente – di particolari battibecchi interfrontalieri tra Mosca e Minsk, sembra che la questione torni ora d'attualità.

In visita a Brest, in occasione del centenario della formazione dei reparti di frontiera, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha minacciato di chiudere la frontiera tra due paesi che, almeno formalmente, in seguito all'accordo di diciotto anni fa, si definiscono tuttora “Stato unitario di Russia e Bielorussia”. Secondo Sputnik-Bielorussia, Lukashenko avrebbe dichiarato che la leadership russa “non sa cosa vuole e non sa cosa intenda fare sulla frontiera. Che si decidano; per noi non è un problema dare una risposta adeguata in qualsiasi momento. Se vogliono chiudere la frontiera, facciano pure”. Lukashenko ha ricordando che Minsk non mantiene reparti confinari stazionanti in permanenza e ha invitato Mosca a valutare autonomamente la necessità o meno di rivedere le modalità di controllo confinario.

All'inizio dello scorso anno, il Dipartimento delle frontiere del FSB russo aveva riattivato controlli di confine (cessati dal 2011) nelle regioni di Smolensk, Brjansk e Pskov, in seguito alla decisione bielorussa di consentire l'ingresso nel paese, senza visto, per un massimo di 5 giorni, ai cittadini di 80 paesi. Nonostante Minsk avesse assicurato che non avrebbe consentito l'ingresso in Russia ai cittadini di quegli stati che conservano il regime del visto con Mosca, quest'ultima si era detta preoccupata e aveva riattivato i controlli di confine. In base all'accordo sullo “Stato unitario”, infatti, le frontiere esterne di questo corrispondono ai confini che i due paesi hanno in comune con altri stati e, teoricamente, chiunque fosse entrato in Bielorussia senza visto, avrebbe potuto entrare anche in Russia.


Il fatto è che, ha dichiarato a Sputnik-Bielorussia lo storico Nikolaj Starikov, "gli istituti dello Stato unitario di Russia e Bielorussia non operano tuttora a pieno regime. A volte, entrambe le parti interpretano i propri interessi in maniera diversa. Se lo stato è unitario, allora ci dovrebbe essere un'unica politica estera, un'unica politica economica". Ma non è così. Basta ricordare i vari divieti posti in passato da Mosca all'importazione di carne bielorussa verso la Russia, l'inasprimento dei controlli su merci che, attraverso la Bielorussia, si cercava di contrabbandare in Russia da altri paesi, nonostante l'embargo decretato da Mosca in risposta alle sanzioni.


Di fatto, al momento le parti devono ancora accordarsi definitivamente, ad esempio, sul prezzo del gas russo per il prossimo quinquennio. Se per il 2018 e 2019 questo è già fissato, rispettivamente, a 129 e 127 dollari il m3, il prezzo per il periodo successivo è ancora in discussione, tenuto conto che, secondo i piani, al 1 luglio 2019 dovrebbe entrare in vigore un mercato unico dei prodotti energetici per tutti paesi dell'Unione economica euro-asiatica (UEEA: Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizia e Russia; con Tadzhikistan e Uzbekistan candidati all'ingresso e la Moldavia quale osservatore) e, dal 1 gennaio 2025, un mercato unico di gas e petrolio.


Una situazione, quella della UEEA, tutt'altro che stabile, di cui quella russo-bielorussa non è che un corollario. Al vertice del Supremo consiglio economico della UEEA, lo scorso 14 maggio a Soci, erano sul tappeto, tra l'altro, le fattive prese di distanza da Mosca da parte di alcuni paesi membri, parallelamente alle sanzioni occidentali contro la Russia: l'astensione kazakha, ad esempio (Astana conta il 10% del PIL della UEEA, contro l'85% russo) alla risoluzione russa all'ONU di condanna del bombardamento sulla Siria, lo scorso aprile, insieme al suo nuovo flirt con Washington e agli accenni filoucraini sulla “guerra ibrida” di Mosca. E anche Minsk, nonostante il 60% del commercio interno della UEEA si svolga tra Russia e Bielorussia, si destreggia tra Cina, UE e Ucraina, con Lukashenko che non ha mai rinnegato la “solida amicizia con Petro Poroshenko”. Così le spinte nazionalistiche in Kirghizia; e anche l'Armenia, sinora considerata il partner più fidato di Mosca nella UEEA, con il cambio di governo può rivelarsi non del tutto “leale”, considerando Mosca “uno” degli interlocutori, accanto a USA, Turchia e Iran. Tra l'altro, nessun membro dell'Unione ha sinora riconosciuto come russa la Crimea.


Il vertice di maggio si è poi concluso con la firma di alcune intese, tra cui quella sugli accordi internazionali tra UEEA e paesi terzi, sugli orientamenti di politica macroeconomica e alcuni documenti interni; ma non sembra che, sul piano fattuale, gli orientamenti generali dei singoli membri siano mutati di molto. E, sulla questione della frontiera russo-bielorussa, Dmitrij Rodionov osserva su Svobodnaja Pressa che, di fatto, essa non è mai stata chiusa e anche le prese di posizioni attuali di Lukashenko siano a uso e consumo interno, nonostante sinora, a dispetto dello “Stato unitario”, i cittadini bielorussi godano in Russia praticamente degli stessi diritti (assistenza sanitaria, diritti scolastici, ecc.) dei russi, al contrario di quanto avviene in Bielorussia per i cittadini russi.


Stesse motivazioni “a ricaduta interna” possono scorgersi nelle altre dichiarazioni di Lukashenko, secondo cui egli interpreta “in modo estremamente negativo” i tentativi di “privatizzare la Vittoria” nella Grande guerra patriottica: “E' sorprendente, ma qualcuno non sta nella pelle, in Russia, per privatizzare la Vittoria. Come se anche altri non abbiano combattuto. Dividerci sulla vittoria” ha detto, “vuol dire portare acqua al mulino dei nostri avversari” e ha rimarcato che è noto a tutti da dove “sia partita questa divisione".


A gettare un po' d'acqua sul fuoco nei rapporti russo-bielorussi, giunge la notizia secondo cui Minsk, se mostra “la volontà di allargare la collaborazione con la UE”, potrebbe però prendere in considerazione anche l'ipotesi di ospitare “nuove basi militari straniere” sul proprio territorio, in risposta all'eventuale dislocazione di una base permanente USA in Polonia. Lo ha dichiarato a Bruxelles il Ministro degli esteri bielorusso Vladimir Makej, sottolineando che “non vogliamo violare la stabilità. Dobbiamo tuttavia tener conto dei passi intrapresi dai nostri vicini”. L'ipotesi, è quella di una nuova divisione corazzata russa al confine tra Bielorussia e Polonia, anche se mancano concrete conferme.

La dichiarazione di Makej segue le notizie diffuse da Die Welt, secondo cui la NATO creerebbe una “riserva” di trentamila uomini, forte di alcune centinaia di aerei e vascelli, per “prevenire eventuali attacchi da parte russa”. La nuova “riserva”, che andrebbe a rafforzare il contingente di ventimila soldati del NRF (NATO Response Force), sarebbe assicurata da vari paesi dell'Alleanza atlantica, con la Germania a fare da capofila. La questione,dovrebbe essere discussa già già nei prossimi giorni a Bruxelles dai Ministri della difesa della NATO. Secondo la commissione esteri del Parlamento europeo, la UE intende respingere "la penetrazione russa" in Europa orientale, in particolare nei Paesi baltici e in Polonia e, a questo scopo, chiede una maggior cooperazione tra NATO e UE, l'aumento della presenza a est e a sud e, in particolare, l'ampliamento dei quattro contingenti multinazionali, “rinforzati” a livello di battaglione, da oltre un anno già dislocati in Polonia e Paesi baltici. Si ribadisce la necessità, secondo quanto previsto nell'Action Plan on Military Mobility nel marzo scorso, di ammodernare le infrastrutture viarie dei Paesi dell'Alleanza atlantica (strade, ponti, collegamenti ferroviari, ecc.) per accelerare lo spiegamento delle forze di pronto intervento.


Ma non è escluso che Aleksandr Lukashenko, dimostratosi sinora uno scaltro “battitore libero”, avvezzo a cambiar tono a secondo degli interlocutori e delle circostanze, non approfitti anche di questa cosa per dribblare spregiudicatamente tra Mosca e Bruxelles.

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