Manifestazioni studentesche del 12 ottobre. I reali motivi della protesta



di Francesco Fustaneo


Lo scorso 12 ottobre tante sono state le piazze italiane animate dai cortei e dalle manifestazioni studentesche che da nord a sud hanno raccolto l’adesione di decine di migliaia di studenti.

Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Catanzaro, Bari e Palermo sono solo alcune delle città interessata dai sit-in in cui studenti delle scuole superiori e delle Università hanno colto l’occasione per contestare le politiche governative.

Il “day after” le t.v. si sono limitate a mostrare i cortei colorati dagli striscioni, talvolta le redazioni più volenterose hanno finanche accompagnato i loro servizi con sparute interviste a studenti; l’attenzione mediatica è stata però di fatto catalizzata dai due manichini rappresentanti Di Maio e Salvini dati alle fiamme durante lo sciopero a Torino.

Il risultato finale è che pressoché nessuna attenzione è stata data dalla stampa mainstream ai reali motivi della protesta. Abbiamo almeno noi cercato di dar voce agli studenti, illustrando sinteticamente i motivi che gli hanno indotti a scendere in piazza: eccoli.

1. La prima delle critiche mosse da tutte le sigle studentesche aderenti allo sciopero è l’assenza nei piani governativi di risorse da stanziare per la messa in sicurezza delle strutture scolastiche. La loro condizione in generale, è preoccupante ed espone ogni giorno studenti, insegnanti e personale scolastico a rischi significativi. Sono migliaia gli edifici non a norma, soprattutto nelle periferie e nei comuni di provincia. I ragazzi contestano poi la scarsità nelle scuole di materiali didattici, l’assenza diffusa di palestre e laboratori o il fatto che gli stessi non siano attrezzati adeguatamente. A fronte di questa emergenza il ministro Salvini invece avrebbe fatto stanziare 2,5 milioni per installare sistemi di videosorveglianza e incrementare i controlli di polizia tra gli studenti (nell’ottica del c.d. piano anti pusher): elementi questi, che per i manifestanti non aumentano la sicurezza, bensì la repressione.

2. Invisa a una buona fetta degli studenti, l’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria dal 2015, coinvolgerebbe ogni anno circa un milione e mezzo di giovani. I manifestanti denunciano come la stessa costituisca un’occasione ghiotta per le imprese che risparmierebbero sulla formazione aziendale, usufruendo di personale senza però retribuire le ore lavorate. Considerazioni aggravate dalla proposta delle ultime settimane da parte del Ministro Bussetti di aumentare le ore di alternanza negli istituti tecnici e professionali. Le rivendicazioni in questo caso ineriscono dunque, una “paga” per il lavoro espletato, limitazioni degli orari e l’introduzione di tutele effettive.

3. Corre poi in parallelo alle critiche al sistema dell’alternanza, la richiesta di dar vita nelle scuole a commissioni interne, in cui studenti e professori abbiano voce in capitolo nella scelta e nella valutazione dei progetti di scuola-lavoro sulla base del loro valore formativo e dei diritti garantiti agli studenti.

4. Un ulteriore motivo di contestazione è rappresentato dalle spese, accresciutesi negli anni, per poter portare a compimento gli studi. Ad esempio l’incremento progressivo del costo dei libri e degli abbonamenti ai mezzi di trasporto pesano sui bilanci familiari finendo spesso per incidere sul tasso di abbandono scolastico che in Italia e soprattutto al meridione è tra i più elevati in Europa.

5. Le cifre ingenti erogate ogni anno per il sovvenzionamento delle scuole private.

6. L’ abbiamo riportata per ultima, ma non per importanza: chi è sceso in strada a manifestare venerdì scorso ha voluto anche rimarcare l’insofferenza all’incessante propaganda del governo in carica contro gli immigrati. I ragazzi delle nuove generazioni, differentemente dai loro nonni o dai loro genitori fin da piccoli trascorrono le loro giornate di istruzione o di svago con coetanei immigrati che spesso vivono le medesime problematiche scolastiche o di quartiere. La protesta studentesca negli intenti di buona parte degli organizzatori, vuole respingere al mittente il tentativo di innescare una guerra tra poveri, riunendo studenti italiani e immigrati in unico fronte contro un sistema economico prima ancora che scolastico che spesso nega ai giovani un futuro dignitoso.

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