Perché i call center sono il termometro della bomba sociale pronta ad esplodere



di Agata Iacono

I call center, da "servizi essenziali" nella fase uno a servizi inutili e destinati a morire nella fase due, sono il simbolo della bomba economica che sta per esplodere.

I lavoratori dei call center hanno supportato il lockdown continuando a lavorare, perlopiù in sede e non in smartworking, pagati male e ancor meno tutelati dalla possibilità di contrarre il contagio in postazioni piccole, affiancate, in stanze affollate e lottando pur di ottenere almeno un copri cuffia e microfono personali.

Eroi mai nominati, silenti, mai ringraziati, che hanno aiutato gli italiani a superare le mille difficoltà date dall'emergenza in una società non tecnologizzata e poco digitalizzata come quella italiana.

A Segrate rischiano di saltare le commesse di AlmavivA Contact, (ramo di AlmavivA Spa con 45mila dipendenti nel mondo e 887 milioni di fatturato). È saltato il pacchetto Sky-Fastweb, passato a Covisian, che ha assorbito solo una parte dei lavoratori: 50 non hanno infatti accettato le condizioni poste da Covisan, che non riconosce la parte di retribuzione legata ai “superminimi”. Ma non è solo finita la commessa da Sky, compresa l'assistenza tecnica (altri 113 lavoratori dalla Lombardia alla Sicilia): per AlmavivA sono in dubbio anche i rinnovi da parte di Trenitalia e Wind Tre Consumer.

È stata presentata un'interrogazione parlamentare ai ministri del Lavoro Catalfo e dello Sviluppo Economico Patuanelli dai parlamentari del Movimento 5 Stelle Varrica, Alaimo, Trizzino, Penna e D'Orso sul destino di Almaviva e dei lavoratori.

"A poche ore dalla festa del lavoro l’azienda Sky ha comunicato ai sindacati e ad Almaviva che il prossimo 30 giugno scadrà il contratto d’appalto “servizi di customer care inbound” per i servizi operati da oltre 250 lavoratori nelle sedi di Palermo e che “al termine del contratto non vi sarà alcun subentro giacché questo verrà cessato unitamente alle attività in esso rese”, senza fare alcun riferimento alla clausola sociale" scrive il deputato Adriano Varrica.

Ma già sono comparsi annunci di ricerca di addetti a call center, poi cancellati, in Albania: senza alcun bisogno di delocalizzare fisicamente né di dover "regolarizzare" lavoratori stranieri, le aziende committenti cercano di aggirare i diritti dei lavoratori in Italia (già indeboliti dal Jobs Act), sfruttando altrove con paghette da fame e possibilità di licenziare senza alcuna clausola. "Questa crisi ha inevitabilmente rallentato il percorso avviato coi tavoli ministeriali (..).Oggi più che mai abbiamo bisogno di rilanciare questi percorsi che puntano a salvaguardare migliaia di posti di lavoro" afferma Varrica.
Ma la crisi del settore non si limita al caso Almaviva, riguarda tutte le agenzie interinali dei call center classici al servizio delle multinazionali, delle partecipate, del settore pubblico. È singolare che questo dramma di centinaia di migliaia di famiglie italiane si palesi in modo deflagrante proprio subito dopo la prima fase di emergenza Covid, in cui la richiesta di informazioni e assistenza raggiunge picchi mai toccati prima. Servizi essenziali come gli alimentari e le farmacie, mentre i centralini delle regioni, della Protezione Civile, delle Asl, dell'INPS, sono intasati e non sono in grado di ricevere e smaltire tutte le richieste.

Il futuro sarà il 5G e le chiamate con riconoscimento vocale e risposta automatica?

Forse.

Intanto si rischia di disperdere un patrimonio di competenze acquisite negli anni. I dipendenti non sono più i giovanissimi che cercavano un lavoro temporaneo per mantenersi agli studi o avere una piccola entrata in più: sono adulti, con famiglie, formati e aggiornati nella gestione dei servizi.

Hanno acquisito quella che un tempo veniva chiamata "coscienza di classe".

Sono gli operai della nuova catena di montaggio tecnologica.

Occorre una pianificazione seria e a lungo respiro perché la Storia non si ripeta.

E la seconda volta non sarà comunque una farsa.

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