Fallimento del capitalismo: la fame aumenta ma i ricchi non pagano le tasse

14 Gennaio 2021 15:30 Geraldina Colotti

Gli istituti di statistica diffondono le cifre della crisi provocata dal coronavirus, un capitolo della crisi sistemica del capitalismo. Si prospettano lacrime e sangue per le classi popolari, nei paesi che più hanno guadagnato dal loro sfruttamento in questi decenni di governi neoliberisti. Secondo la Cepal, il Pil dell’America Latina – un continente di grandi disuguaglianze sociali non compensate dai paesi che, come Cuba e Venezuela, mettono al centro gli interessi degli esseri umani e non quelli del mercato - cadrà di quasi il 10%, riportando il livello a quello di 15 anni fa.

La povertà estrema potrebbe riguardare fino a 45 milioni di persone. La lista degli uomini più ricchi del pianeta, pubblicata come ogni anno dalla rivista Forbes, indica intanto chi abbia guadagnato anche dalla pandemia (i grandi gruppi che controllano il web e la vendita tramite internet, e che non pagano imposte nei paesi in cui fanno profitti), e perché, nei paesi capitalisti, non si riesca ad approvare una legge per tassare le grandi fortune.

Uno studio realizzato dalla Red Latinoamericana por Justicia Económica y Social (Latindadd) in 20 paesi della regione, mostra come, durante il periodo di più stretta quarantena, nel 2020 gli stra-ricchi abbiano aumentato la loro fortuna di 48.200 milioni di dollari. Latindadd lamenta l’assenza trentennale di una riforma fiscale nel continente, che, non solo dovrebbe tassare le grandi fortune, ma anche aumentare le imposte a tutte le rendite da capitale, come per esempio i dividendi degli azionisti. Tassando le grandi fortune, si otterrebbero almeno 26.504 milioni di dollari, con i quali – dice lo studio - si arriverebbero a coprire sia il costo del trattamento anti-covid, che il vaccino, salvando fino a 2,5 milioni di vite.

Il mantra che nei paesi capitalisti sentiamo ripetere da governi e telegiornali, secondo il quale di fronte al covid siamo tutti sulla stessa barca, è evidentemente una menzogna. Tuttavia, come i marxisti sanno in base alle analisi di Lenin e Gramsci, le conseguenze della crisi, seppur di molto superiori a quella del 1929, non producono meccanicamente le rivoluzioni.

In assenza di un’organizzazione di classe e in un sistema-mondo in cui i governi che ancora si richiamano al socialismo sono una sparuta minoranza, le contromisure che il capitale è in grado di mettere in atto per cercare di consolidare i vecchi poteri, sono pervasive e sofisticate. Strategie ben supportate dall’azione degli apparati ideologici di controllo, che dipingono un “mondo al contrario”.

Citiamo qui solo tre esempi: la teoria del trickle-down, secondo la quale elargendo benefici economici, soprattutto in termini di alleggerimento fiscale, ai ceti abbienti, ne ricaverebbero un vantaggio sia la classe media che i settori popolari. Tutti questi anni di politiche neoliberiste hanno provocato, invece, un impoverimento verso il basso anche della classe media.

Il secondo riguarda una particolare interpretazione della “economia espansiva”, però in termini di finanziamento del complesso militare-industriale, le cui imprese, in Europa, si considerano “veri e propri partner dei governi”: i quali, con il covid, hanno aumentato molto sia le spese militari, sia l’impiego degli apparati repressivi che ne sono indotto.

Il terzo, riguarda il ruolo della “seconda finanziarizzazione”, la cui gestione spregiudicata, ad alto rischio di capitale e incremento dei “fondi avvoltoio”, si ispira ai principi del libertarianismo, per cui la libertà di accumulare è un imperativo categorico.

Attori che hanno finanziato oltre il 90% della campagna referendaria per la Brexit in Gran Bretagna: non per appartenenza al sovranismo della destra o per un minor filo-atlantismo, ma perché considerano troppo vincolanti anche le regole finanziarie dell’Unione Europea. Il loro progetto è quello di trasformare la City in una sorta di paradiso fiscale senza controllo.

(Articolo per il Bollettino economico del PSUV)

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