La crisi italiana? I pregiudizi tedeschi contro l’Italia fanno più danni. Parola di economista austriaco

18 Febbraio 2021 14:53 Edoardo Laudisi

Nella crisi finanziaria ed europea del 2008, economisti, politici e media tedeschi hanno dato un quadro sbagliato dell’Italia e della sua economia. Questi cliché sono duri a morire e vengono usati ancora oggi dai politici europei per stabilire delle gerarchie.”

Sono parole del giovane economista austriaco Philipp Heimberger che ha lanciato una campagna su internet per smentire la narrativa ufficiale sul nostro paese tanto in voga oltralpe, narrativa ripresa da tutti i mainstream media italiani senza il minimo ragionamento critico. Heimberger espone le sue argomentazioni in un articolo pubblicato nel giungo scorso sulla rivista Kontrast, (articolo qui) dove fa chiarezza sulle criticità del sistema Italia e smentisce luoghi comuni duri a morire. Nell’introduzione del suo articolo Heimberger scrive: “L'Italia è la seconda forza manifatturiera nell'UE dietro solo alla Germania, ha eccedenze di esportazioni e ha spesso rispettato i requisiti di risparmio imposti dall'UE in modo più rigoroso rispetto a Germania e Austria” Sorpresi? Questo è niente. Il bello viene dopo.

Il luogo comune di cui Philipp Heimberger fa piazza pulita del tanto decantato peana “L’Italia vive al di sopra delle sue possibilità”. La vocazione a cicaleggiare del nostro paese sarebbe dimostrata dal rapporto debito pubblico/pil al 135%, ben al di sopra del parametro fissato a Maastricht del 60%. Interessante notare che il debito pubblico giapponese, che nel 2020 ha sfondato quota 240% sul Pil, non porti gli acuti commentatori dei media a conclusioni analoghe. L’economista austriaco fa notare che l’indebitamento di uno Stato non dice nulla sulla forza della sua economia. Un paese vive al di sopra delle sue possibilità se, nel lungo periodo, importa più di quanto esporta. In altre parole, se consuma più di quanto produce. Dal 2012, ricorda Heimberger, in Italia le esportazioni superano stabilmente le importazioni, ergo il bel paese non vive al di sopra delle sue possibilità. Ad essere indebitato è lo Stato, non i cittadini. Nel settore privato il debito è contenuto e quindi il problema dell’indebitamento non riguarda tutta l’economia italiana ma lo Stato e il suo apparato. Da qui l’idea irresistibile per i politici europei e italiani di una patrimoniale punitiva, motivata dall’evasione fiscale, che sposti il problema del debito sulle spalle dei cittadini. Il peccato originale del debito pubblico italiano, prosegue Heimberger, risale agli anni Ottanta del secolo scorso, in un periodo storico caratterizzato da tassi di interesse a due cifre (il tasso sui buoni del tesoro italiani a metà anni Ottanta era intorno al 12-13%) che crearono la montagna di debito che ancora oggi incombe sull’economia italiana. Infatti, se si fa eccezione per il 2008, l’anno della crisi finanziaria, l’Italia ha fatto registrare sempre un avanzo primario (differenza positiva tra entrate e uscite statali) a dimostrazione che il sistema economico rimane in salute. La zavorra degli interessi passivi accumulati nel passato però azzera i vantaggi.

Successivamente l’economista austriaco si sofferma sull’euro e sull’impatto che questa moneta ha avuto sull’economia italiana. Il problema del debito, infatti, è sempre da mettere in relazione a quello della crescita economica. Se l’economia non cresce, o peggio va in recessione, il rapporto debito/pil va fuori controllo. E sono 20 anni che l’economia italiana non cresce o cresce poco. Da quando cioè è entrata in vigore la moneta unica. A tale proposito scrive Heimberger: “Nel 1969 l'Italia superò la Gran Bretagna in termini di potere d'acquisto pro capite. Nel 1979 superò la Francia. Vent'anni fa, cioè nel 2000, il tenore di vita in Italia era praticamente pari a quello della Germania (98,6% del potere d'acquisto tedesco pro capite) ma dall'introduzione dell'euro nel 1999, il paese ha costantemente perso terreno, scivolando dietro la Gran Bretagna nel 2002 e la Francia nel 2005. Nel 2019, i redditi pro capite italiani erano scivolati di oltre il 20% al di sotto di quelli in Germania.”

Tutta colpa di mafia, corruzione, evasione fiscale e malapolitica si dirà, ma anche su questo punto l’economista austriaco dice la sua: “l'Italia non è mai stata un esempio di stabilità politica. L'attuale governo è il 66° governo del dopoguerra. I problemi di mafia, corruzione ed evasione fiscale poi sono purtroppo sempre esistiti. Tuttavia, ciò non ha impedito all'economia italiana di svilupparsi in modo molto dinamico in passato.” Di fatto l’introduzione dell’euro e l’entrata in crisi dell’economia italiana sono andate di pari passo. Una spiegazione, scrive Heimberger, è che il valore dell'euro riflette la forza media di tutte le economie europee. In questo modo la moneta unica è troppo economica per la Germania (che aumenta le esportazioni) e troppo costosa per l'Italia (che non riesce a crescere). Se l'Italia potrà mai acquisire slancio economico con l'euro dipenderà non da ultimo dalla volontà di Austria e Germania di riformare l'architettura istituzionale dell'euro (trattati di Maastricht e di Lisbona) inserendo quei meccanismi di compensazione ai quali si sono sempre opposte. Infatti, proprio perché Austria e Germania beneficiano notevolmente della moneta comune "a buon prezzo" dovrebbero fare tutto il possibile per mantenere l'Italia nell'euro. Ciò sarebbe nel loro stesso interesse perché il ritorno a una moneta "costosa" come il marco tedesco o lo scellino austriaco sarebbe un grave onere sui prezzi per l'industria di entrambi i paesi.

Heimberger fa poi notare come nel 2015 l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) abbia sottolineato lo sforzo italiano sulle riforme neoliberali; le ricette di austerity imposte dalla UE per mezzo di Monti & Co per precarizzare il mercato del lavoro e distruggere la domanda interna a scopo deflattivo. Risultato: il debito non è retrocesso di un millimetro, anzi è avanzato. I danni di queste politiche, che dovevano sanare il debito ma hanno finito per indebolire ancora di più l’economia italiana rendendola una preda facile per le mire espansionistiche del capitalismo finanziario germanico, si sono sentiti in tutti i settori non ultimo quello sanitario, che è stato travolto dalla prima ondata della pandemia di Covid. Ma nonostante il quadro desolante, l’Italia rimane pur sempre la seconda forza manifatturiera della EU. Quindi still too big to fail.

Secondo Philipp Heimberger politici europei come Angela Merkel e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz sono responsabili di aver dato via libera ai pregiudizi negativi sull’Italia. A loro vanno aggiunti gli ascari nostrani, media e politici, che hanno fatto da gran cassa alla vulgata germanica. Oggi però la pandemia ha causato una crisi economica tale da mettere a rischio l’Europa e quindi bisogna cambiare rotta. Ma non sarà facile, dopo tanta propaganda negativa, convincere l’elettorato tedesco e austriaco che si deve sostenere la “cicala” italiana.

Intendiamoci, l’economista austriaco dice cose note fin dal 2012, anno in cui uscì “La trappola dell’Euro”, l’ottimo saggio di Marino Badiale & Fabrizio Tringali. L’eurozona non è l’Europa come media mainstream e politici ripetono ossessivamente. A questa verità se ne aggiunge un'altra: se è vero che non può esistere un’Eurozona senza Italia, può benissimo esistere un’Italia senza Eurozona. E una classe politica non culturalmente colonizzata e genuflessa come quella italiana, con un minimo di capacità strategica saprebbe come ottenere il massimo da questa situazione.

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