La "vita" di un bambino palestinese sotto l'occupazione del regime israeliano


di Paola Di Lullo

"Il giorno è vostro, la notte è nostra". Con queste parole, Israele giustifica i raid notturni dell'IDF ( meglio IOF ), nelle case della Cisgiordania. Ogni abitazione è a rischio, anche se in Area A, grazie alla "cooperazione" garantita da un Mahmoud Abbas sempre più complice, sempre meno voce del suo popolo.

Perché i raid? Perché vi potrebbero essere armi, possibili lanciatori di sassi, membri della Resistenza. Per motivi di sicurezza e prevenzione, dicono. Gli stessi motivi per cui si costruiscono muro, checkpoints, strade separate, insediamenti illegali. Si chiama Occupazione.

I bambini, di qualsiasi età, presenti nelle case in cui l'IDF fa irruzione sfondando le porte, perché "bussare è da codardi", non sono esenti dagli interrogatori. Svegliati di soprassalto nel cuore della notte, devono rispondere alle domande di soldati armati fino ai denti.

Se unita alle altre forme di umiliazione e vessazione che, quotidianamente affrontano, questa pratica non fa altro che alimentare il numero dei bambini sotto stress, con disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e altri disturbi d'ansia, tra cui la depressione, secondo Medici Senza Frontiere (MSF) e organizzazioni palestinesi specializzate in salute mentale.

Quali sono i traumi quotidiani inflitti ai bambini in Palestina? Vedere i loro genitori derisi, malmenati, arrestati; le loro case demolite, la mancanza d'acqua corrente e potabile, la difficoltà negli spostamenti, anche solo casa - scuola, i controlli impietosi che li costringono ad aprire gli zaini e, molto spesso, a denudarsi, in parte o integralmente. Anche attraversare un checkpoint è un'esperienza traumatica. E poi ci sono gli arresti. Prelevati dalle loro case in piena notte, o per strada, all'improvviso, senza spiegazioni per loro e neppure per i genitori, chiusi in carcere, sottoposti a maltrattamenti e abusi, interrogati, spesso legati, bendati, in molti casi rinchiusi in celle di isolamento, insultati, minacciati ed abusati, verbalmente e fisicamente, per essere spinti a confessare. Tutto ciò genera terrore, non terrorismo.

Nel marzo 2013 L'Unicef pubblicava il rapporto "I bambini nella detenzione militare israeliana" (http://www.unicef.it/Allegati/UNICEF_oPt_Children_in_Israeli_Military_Detention_Observations_and_Recommendations_-_6_March_2013_1.pdf ). Secondo il rapporto -che si basava su 400 casi documentati dal 2009 e testimonianze raccolte dalle Ong - negli ultimi dieci anni i ragazzini arrestati erano stati circa settemila, una media di due al giorno, quasi tutti maschi, con un'età che variabile dai 12 ai 17 anni. L'agenzia Onu per l'infanzia affermava che Israele è l'unico Paese al mondo nel quale i bambini vengono sistematicamente processati in tribunali militari.

A denunciare la situazione non era stata solo l'Unicef. Altri organismi avevano espresso le stesse preoccupazioni. Un rapporto di Defence for children international dell' aprile 2012 aveva rivelato che, su 311 testimonianze raccolte tra il 2008 e il 2012, il 75% dei detenuti palestinesi tra i 12 e i 17 anni venivano maltrattati durante l'arresto e la detenzione e arrivavano agli interrogatori bendati, legati e privati del sonno.
A sette mesi dalla pubblicazione di quel primo rapporto, l'Unicef era tornata ad accusare Israele di maltrattamenti e abusi nei confronti dei giovani palestinesi che vengono arrestati in Cisgiordania. E lo aveva fatto attraverso il primo rapporto di monitoraggio (Progress report) sulla condizione dei minori palestinesi sottoposti a custodia militare israeliana.

Ad oggi, la situazione non è cambiata.

Sempre secondo un rapporto presentato dall'Unicef il 14 maggio 2016, venticinque bambini palestinesi sono stati uccisi negli ultimi tre mesi del 2015, e il numero di detenuti è stato il più alto degli ultimi sette anni.

L'Unicef si è detto seriamente preoccupato per l'uso eccessivo della forza, in particolare in relazione agli incidenti in cui i bambini palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane dopo aver effettuato o di essere sospettati di aver condotto attacchi. Il rapporto afferma che più di 1.300 bambini palestinesi sono stati feriti durante le violenze degli ultimi mesi, quasi tutti in Cisgiordania e Gerusalemme Est, mentre tre bambini israeliani sono rimasti feriti in Cisgiordania e Gerusalemme ovest.

L’Unicef ha anche espresso allarme per il numero di bambini palestinesi di età compresa tra i 12 e i 17 anni detenuti dall’esercito israeliano, notando che il conteggio si è attestato a 422 alla fine di dicembre, il più alto registrato dal marzo 2009.
I bambini sono esposti a esperienze che modellano atteggiamenti per tutta la vita e, in alcuni casi, hanno conseguenze psicologiche di durata. Frank Roni, uno specialista di protezione dei bambini per l’ Unicef , l’agenzia delle Nazioni Unite per i bambini, che lavora in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, parla di un “trauma intergenerazionale” nel vivere sotto occupazione. “Il conflitto in corso, il deterioramento dell’economia e dell’ambiente sociale, l’aumento della violenza – tutto questo impatta pesantemente sui bambini,” dice. “I muri psicologici” rispecchiano le barriere fisiche e i posti di blocco. ” I bambini si formano una mentalità da ghetto e perdono la speranza per il futuro, che alimenta un ciclo di disperazione”, dice Roni.

MSF ha aumentato il suo numero di cliniche e di formazione del personale in psicologia dello sviluppo per soddisfare le crescenti esigenze dei bambini palestinesi, a Nablus ed a Gaza. Il 54% dei pazienti con disturbi mentali nelle cliniche di MSF nella striscia di Gaza avevano meno di 12 anni nel 2010. Più di un terzo dei casi trattati da MSF a Gaza e oltre la metà di Nablus in Cisgiordania sono gravi, e incidono sulle attività quotidiane.

"Più della metà delle consultazioni a Gaza e di Nablus sono per i bambini sotto i 18 anni, fino 2011", ha detto Hélène Thomas, coordinatore di MSF France a Gerusalemme.

"I bambini e gli adolescenti hanno particolari sintomi di disagio psicologico, come bagnare il letto, incubi, difficoltà di apprendimento [di lettura e di parola], problemi di concentrazione e di memoria e, di conseguenza, il fallimento scolastico, o anche un comportamento aggressivo", ha dichiarato la Thomas.

Di seguito il link di un video in cui si possono osservare alcune "gentilezze" che il popolo eletto riserva ai bambini palestinesi :
https://www.facebook.com/431256660252368/videos/vb.431256660252368/915803178464378/?type=2&theater
Diversa, seppur con i medesimi problemi, impattanti sulla salute mentale dei minori, la situazione a Gaza.
C’è stato un tragico deterioramento del benessere psicofisico dei bambini dopo l’attacco militare israeliano del 2008, Piombo Fuso, quello del novembre 2012 e naturalmente Protective Edge, dell'estate 2014. Secondo ricerche condotte da Eyad Sarraj, esperto di salute mentale e attivista per i diritti umani, ormai morto, la quasi totalità dei 950.000 bambini gazawi ( forse oggi anche più ) soffre di sintomi psicologici e comportamentali propri del disturbo da stress post-traumatico (PTSD), tra cui aggressività, depressione, enuresi, flashback e un attaccamento psicotico alla madre o ad un familiare. E il ripetersi degli attacchi militari fa sì che i bambini siano profondamente e cronicamente traumatizzati perché non riescono a risolvere il loro trauma. Oggi, un bambino di dieci anni, ha già vissuti tre aggressioni israeliane, di cui due di proporzioni catastrofiche. Proprio per questo, rilevava Sarraj, “è molto difficile parlare di PTSD quando il trauma continua a ripetersi e a mantenere livelli di stress ricorrenti”.

I bambini gazawi hanni vissuto esperienze drammatiche. C'è chi ha visto schizzare il cervello di un fratello, chi ha visto la sorella perdere un arto, chi ha visto i genitori spappolati dalle bombe, chi ha perso tutto, casa, genitori, fratelli, amici.

L’evento-guerra, ovviamente, è il più traumatico per il bambino. Tutto il sistema sensoriale è allertato e colpito profondamente: essere testimoni di massacri, bombardamenti, invasioni militari; vedere soldati, armi, spari, persone uccise; sentire le urla dei feriti, sono tutte sensazioni sensoriali che si imprimono in maniera indelebile nella memoria.
I fratelli ed i cugini sopravvissuti dei quattro bambini della famiglia Baker, massacrati da un missile israeliano sparato dal mare, il 16 luglio 2016, mentre giocavano a pallone sulla spiaggia di Gaza City, mostrano evidenti segni di profondo malessere.
Il link dell'intervista ai bambini sopravvissuti :
https://www.youtube.com/watch?v=_HHnzLO1-BI
Dalla sensazione di sentirsi perennemente in pericolo di vita al senso di colpa per essere ancora in vita. Da simili eventi scaturiscono emozioni forti come la paura, il dolore, la collera, il senso di impotenza. La gravità del trauma è condizionata da sette fattori: la violenza improvvisa di un evento traumatico, la vicinanza fisica e affettiva all’evento, la durata e la ripetizione dell’evento, il grado di brutalità, la conoscenza degli assassini. Lo stress e lo choc possono arrivare a turbare molto profondamente aree interne, con rappresentazioni emotive non sempre facilmente verbalizzabili o in molti casi non verbalizzate. L’evitare o, al contrario, ripetere ossessivamente ricordi o comportamenti riguardanti il trauma, sembrano essere due polarità frequenti nella sindrome PTSD e, in generale, in tutti i disturbi che scaturiscono da un’esperienza traumatica. Ayesh Samour, direttore dell’unico ospedale psichiatrico presente nella Striscia, spiega: “Ai bambini di Gaza è stata negata un’infanzia normale a causa dell’insicurezza e instabilità del loro ambiente. E non temporaneamente. Una cultura di violenza e di morte pervade nella loro mente, rendendoli più aggressivi e arrabbiati”.

L’offensiva militare israeliana durata 50 giorni tra l’8 luglio e il 26 agosto, denominata Protective Edge, ha ucciso 547 bambini, mentre altri 3374 sono rimasti feriti, incluso 1,000 le cui ferite li hanno resi permanentemente disabili. In totale, secondo il rapporto, l’operazione militare ha ucciso 2.220 palestinesi, di cui almeno 1.492 civili. Cinque invece i civili israeliani morti, di cui un bambino, e 67 soldati.


In conclusione, Israele mostra totale spregio non solo verso la comunità internazionale, le Risoluzioni ONU, la IV Convenzione di Ginevra, ma ciò che è più grave non tutela i minori in nessun modo, violando anche La Dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo, documento redatto nel 1924 dalla Società delle Nazioni che fece riferimento alla Carta dei Diritti del Bambino scritta nel 1923 da Eglantyne Jebb, dama della Croce rossa, la quale fondò Save the Children nel 1919. Successivamente, con l'istituzione dell'ONU, la dichiarazione è stata approvata il 20 novembre 1959 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e revisionata nel 1989, quando ad essa ha fatto seguire la Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia. Questo documento in realtà non è vincolante per i singoli stati, ciò significa che non ha valore giuridico nel diritto, e tanto meno nel diritto internazionale, ma impegna i paesi membri soltanto da un punto di vista morale.

Israele non ha senso morale.
Fonti : UNICEF
MSF
MIDDLE EASR EYE
NENA NEWS AGENCY
ELECTRONIC INTIFADA

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