Noam Chomsky: "Quel che accade ai confini con la Russia è il risultato dell'espansionismo della NATO"


Piccole Note


Lo scandalo dei rapporti tra lo staff di Trump e Mosca? Noam Chomsky, intervistato da Viviana Mazza per il Corriere della Sera del 30 maggio, spiega che «in linea di principio non c’è niente di male nel tentare di stabilire rapporti con la Russia, anzi è un approccio sostanzialmente corretto […]. Bisogna partire dai temi che contano e ridurre le provocazioni. Quel che sta succedendo ai confini della Russia è il risultato dell’espansione della Nato: è scandaloso che nel 2008 Obama e Clinton abbiano offerto all’Ucraina di diventare membro dell’Alleanza Atlantica; è come se il Messico avesse tentato di aderire al Patto di Varsavia».

Ancora Chomsky al Corriere: «L’altro tema urgente è quello delle armi nucleari: Obama ha sviluppato – e Trump sta portando avanti – un programma di modernizzazione del nostro arsenale che rende possibile annientare l’intero deterrente russo con il “first strike”. Questo mina la stabilità perché salta la logica della deterrenza reciproca. Consapevoli delle potenzialità americane, i russi in un momento di crisi potrebbero essere tentati di colpire per primi, assicurando la distruzione reciproca. È così che riduciamo la tensione?».

Chomsky è un punto di riferimento della sinistra internazionale, così la sua risposta sul cosiddetto russiagate, lo scandalo che rischia di travolgere l’amministrazione Trump, suona più che interessante.

È evidente l’accanimento politico su una questione che non ha nulla di scandaloso, anzi non può che favorire l’attutimento delle tensioni internazionali.

Per capire quanto fanatismo vi sia dietro questa caccia alle streghe basta stare ai proclami di John McCain, che si sta facendo portavoce degli avversari di Trump e che più apertamente sta brandendo il russiagate contro il presidente.



Interpellato dall’Australian Broadcasting Corporation lunedì sera, il senatore americano ha affermato: «Credo che Putin sia la prima e più importante minaccia, ancora più dell’Isis».

Sono parole più che preoccupanti, nonché offensive per le vittime del terrorismo, in Occidente come in Oriente, nel mondo anglosassone come nel mondo arabo.

Una dottrina da cui discende la strategia americana di McCain e dei suoi sodali (che sono legione negli apparati militari e di sicurezza americani) in Siria e in Libia.

Di fatto si è chiuso un occhio o ambedue sull’attività dell’Isis e sui suoi contatti con le altre milizie jihadiste, sulle forniture di armi, come sui finanziamenti che sono essenziali alla sua esistenza.

Un trattamento di favore che ha permesso al Terrore di prosperare e di resistere con efficacia da tempo alle offensive volte a liberare i territori occupati da tale organizzazione in Siria come in Iraq (in Siria per contrastare i russi, in Iraq per contrastare le milizie sciite legate all’Iran quindi, indirettamente, ai russi).

Si tratta dei gruppi che hanno perpetrato gli eccidi di Manchester, di Parigi, Nizza… Dopo anni di contrasto il Califfato resiste e, anzi, rafforza il suo attivismo internazionale.

Le parole di McCain possono suggerire inquietanti spiegazioni a tale attivismo.

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