Alcune domande a "La Repubblica" che annuncia trionfante la prossima nuova legge sulla Fake News del PD



PICCOLE NOTE


La Repubblica di oggi annuncia trionfante la prossima nuova legge sulla Fake News. Non ci sarebbe che da felicitarsi per la realizzazione di una norma riguardante il selvaggio web, luogo in cui dilaga la diffamazione e la violenza verbale grazie all’anonimato e all’immunità garantita.


Però, a questa giusta opera di legiferare sull’odio via etere, si affianca un’opera di contrasto alle notizie false, le cosiddette Fake News, le cui finalità restano dubbie. Anzi pare siano proprio queste ultime il punto cruciale della questione.


I media spiegano che l’esigenza di avere una regolamentazione di internet nasce proprio dalla necessità di porre un freno a tali Fake news.


Un’esigenza, spiegano tanti analisti, nata dopo la vittoria della Brexit, di Trump e in parte dalla vittoria del No al referendum italiano sulla riforma costituzionale.


Quindi la legge ha una valenza politica molto stretta. Insomma, l’odio dilagante sul web non aveva mosso i fautori della “legislazione eterea”, mentre si muovono in conseguenza a inattesi rovesci politici.


Detto questo, imputare alle Fake News tali rovesci appare alquanto offensivo per l’intelligenza dei cittadini, che hanno attinto dal web Fake dell’una e dell’altra parte.




Ma più offensivo ancora per l’intelligenza dei cittadini è il quadro che va delineandosi, dove non si capisce chi garantisca che una notizia sia una Fake o meno.


Un esempio su tutti: i media che oggi tuonano contro le Fake sono gli stessi che hanno propalato la balla dell’esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.


Una balla che ha causato milioni di morti ammazzati. Nessun direttore di giornale si è dimesso dopo che è stata scoperta l’infondatezza dell’accusa. E nessun giornalista. Nessuno ha chiesto scusa o si è mortificato per le nefandezze di allora.


Anzi tanti di loro oggi pontificano, dai loro scranni più o meno nuovi, sulla necessità di arginare le Fake news.


Altra considerazione: se allora qualcuno avesse messo in dubbio la notizia delle armi di distruzione di massa (come ho fatto io nel mio piccolo), sarebbe stato bollato come produttore di Fake News. E come tale censurato e sanzionato.


Una cosa che può ripetersi, oggi come allora. Oggi che l’informazione vive di Fake News, di narrazioni più o meno congeniali a gruppi di potere, essere voce discorde è a rischio.


Si pensi alla narrazione sulla Siria. Tutti i media mainstream hanno cantato la ballata della primavera araba.


La “guerra civile” siriana nasce come repressione della rivolta dei cittadini siriani da parte del regime dittatoriale di Assad, che ha massacrato il suo popolo.


Da qui la ballata, dove eroi della libertà hanno combattuto, con l’aiuto dell’Occidente, contro un regime sanguinario.


Una ballata distonica con quanto abbiamo riportato sul nostro sito, riprendendo anche le osservazioni di tutti i patriarchi e vescovi siriani.


Testimoni oculari del massacro quotidiano, essi hanno invece parlato di una “guerra incivile”, stante che i siriani armati contro Damasco erano davvero pochi rispetto alla legione straniera arruolata in tutto il mondo da sauditi e Occidente per essere scatenata in Siria.


Una guerra nata per guadagnare ai nemici regionali e internazionali di Assad il regime-change, come fu per Saddam. Testimoni che hanno anche spiegato che c’è una indistinzione di fondo tra la cosiddetta opposizione moderata e le bande armate dichiaratamente terroriste.


La voce dei patriarchi e vescovi siriani sarebbe stata quindi classificata tra le Fake News. E se non la loro, sicuramente altre meno autorevoli che, attingendo a fonti diverse da quelle mainstream, hanno spiegato la “guerra incivile” siriana in altro modo rispetto alla ballata dominante.


Da notare anche l’altra trovata: chi sarà a decidere in maniera insindacabile chi ha prodotto Fake? Le aziende Facebook e Twitter che dovranno rimuovere tali notizie, pena sanzioni salatissime: da mezzo a cinque milioni di euro.


Insomma, lo Stato demanda a un privato il giudizio e la sanzione, proprie della sua potestà. Un privato deciderà quindi le sorti dell’informazione, pilastro fondante della democrazia.


Si tratta di un mostro giuridico. In base a tale riforma, di quel che scriveremo sul nostro sito non dovremo rispondere ai lettori o, eventualmente, ai magistrati, ma a un privato. Che ha i suoi interessi privati.


Per inciso, e per assurdo, da alcuni mesi circola la notizia che alle prossime elezioni presidenziali si presenterà mister Facebook, ovvero Mark Elliot Zuckerberg.


Nel caso avvenisse, sarebbe lui (per interposta persona, stante che si dimetterebbe dalla carica) a vigilare su come verrà descritta la corsa alla Casa Bianca, competizione dove in genere abbondano le Fake incrociate…


Un esempio di libera informazione notevole. Detto questo, al di là dell’allucinante e ancora aleatorio scenario Zuckerberg, è assurdo immaginare la privatizzazione del monitoraggio informativo e l’instaurazione di una pubblica censura.


Un servizio peraltro che sarà attivato per delazione. Infatti a indicare le possibili Fake saranno (anche) gli utenti di Facebook e Twitter. Alimentare la delazione è proprio dei meccanismi totalitari, come da spiegazione di diversi storici.


Detto questo, il giudizio insindacabile resterà a un team di esperti di Facebook o Twitter. Esperti di cosa?


Il fatto poi che tali esperti, nel caso fallissero, provocherebbero danni patrimoniali all’azienda, sarà un ulteriore incentivo a usare la mannaia. Perché infatti rischiare?

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