Numeri e cifre in Iraq, Afghanistan e Pakistan: i nostri "alleati" sunniti fanno più paura dell'ISIS


di Fulvio Scaglione - Occhidellaguerra


Solo qualche giorno fa, due attentati kamikaze contro moschee sciite, poi rivendicati dall’Isis, hanno ucciso 75 persone in Afghanistan, chiudendo una settimana in cui i talebani avevano a loro volta ucciso più di 130 tra poliziotti e soldati delle forze regolari afghane. Per una coincidenza, questa serie di stragi commesse da terroristi sunniti (lo sono sia i miliziani dell’Isis sia i talebani) è arrivata proprio mentre Donald Trump, a nome degli Stati Uniti, non solo sconfessava l’accordo sul nucleare iraniano siglato da Barack Obama nel 2015 ma accusava l’Iran di essere il massimo promotore del terrorismo. Una mossa tesa anche a rinsaldare l’alleanza con Israele e le petromonarchie del Golfo Persico, che sostengono esattamente la stessa tesi: disordine e terrorismo sono un prodotto delle ambizioni egemoniche dell’Iran.

È più che chiaro che anche l’Iran sciita si è servito, negli anni, di quell’arma terribile che chiamiamo terrorismo, in prima persona o attraverso alleati come Hamas, Hezbollah o gli Houthi yemeniti, per fare solo qualche nome. C’è chi, come Mohammed Abdullahi Mohammed, fresco presidente della Somalia, accusa l’Iran di essere anche in loschi affari con gli Shabaab, che di terrorismo se ne intendono e che agli ayatollah fornirebbero uranio in cambio di armi. E molti accusano di azioni terroristiche ai danni dei civili anche le milizie sciite che dal 2014 operano in Iraq, che tanta parte hanno avuto nelle recenti campagne militari e che sono addestrate e organizzate dagli iraniani.



Ma è impossibile negare che da molti anni ormai la gran parte delle vittime del terrorismo nel mondo sono vittime del terrorismo sunnita. Che da molti anni è il terrorismo sunnita a colpire con maggiore frequenza e crudeltà. Dal che consegue che i primi ispiratori del terrorismo e del disordine che esso causa sono, necessariamente, i terroristi sunniti e i Paesi che li finanziano e li sostengono. Che sono, come spiegava bene Hillary Clinton nelle mail del 2009-2010 e in quelle della campagna elettorale del 2016, hackerate e diffuse da WikiLeaks, proprio le petromonarchie del Golfo Persico alla cui alleanza Donald Trump e Israele si sono così strettamente legati. Si può capire che il loro ragionamento sia: il nemico del mio nemico è mio amico. Il loro, però. Il nostro no.

Proviamo a fare qualche conto, sia pure approssimativo perché lacunose sono le statistiche. In Iraq, dall’invasione anglo-americana del 2003 ai giorni nostri, sono morte di morte violenta almeno 268 mila persone. Di queste, circa 200mila erano civili. Studiando i dati, si può assumere che circa il 10% delle vittime civili sia stato causato dalle azioni delle forze occidentali e delle truppe regolari irachene. Restano 180mila vittime civili di un Paese che ha subito per anni prima il terrorismo di Al Qaeda (sunnita) poi quello dello Stato islamico (sunnita pure lui). Calcolando le risposte sciite, le vendette, le rappresaglie, ha senso pensare che almeno 150mila di quei morti siano caduti in questi anni per mano sunnita.

D’altra parte, per restare agli ultimi tempi, le statistiche dicono che negli anni 2014-2016, quelli dell’avanzata dell’Isis, ci sono stati in Iraq un media 16mila morti civili l’anno. Di questi, nel 2016, circa 1.800 sono caduti per colpa degli americani e dei loro alleati ma quasi 10 mila, invece, sono stati uccisi dall’Isis sunnita. I rimanenti vengono attribuiti, negli studi, a “unknown perpetrator”, colpevole sconosciuto. Se anche fossero stati tutti uccisi da sciiti (cosa che non è), è chiaro che il terrorismo sunnita porta comunque il maggior peso di questa incredibile quantità di lutti.

Passiamo all’Afghanistan. Qui si muore dal 2001 ma i dati dei primi mesi del 2017 ci aiutano a capire certe dinamiche. Proprio in questo periodo, infatti, si è avuto il numero record di vittime civili, come testimoniato dalla missione Onu in quel Paese. Si tratta di 1.662 civili uccisi tra il 1 gennaio e il 30 giugno, ovvero 174 donne, 436 bambini e 1.052 uomini. Talebani (responsabili del 43% di tali vittime), Isis (5%) e altre forze antigovernative di identità sconosciuta hanno sulla coscienza 1.141 di quelle morti, con un aumento del 12% sul 2016, che a sua volta era già stato un anno record. Talebani, Isis, oppositori… tutti sunniti.

Vogliamo parlare del Pakistan? Per farsi un’idea basta leggere ciò che ha scritto proprio in questi giorni il Pakistan Christian Post a proposito della doppia persecuzione cui sono sottoposti i 40 milioni di sciiti (massima concentrazione al mondo dopo l’Iran) che vivono in Pakistan, attaccati dai terroristi sunniti e perseguitati dallo Stato. Cosa tutt’altro che nuova, peraltro, visto che già nel 2014 Human Rights Watch aveva potuto dedicare alla continua uccisione di sciiti un rapporto intitolato We are the walking dead (“Siamo i morti che camminano”), riferito appunto alla condizione più che rischiosa degli sciiti.

Potremmo continuare all’infinito. Sunniti sono i Fratelli Musulmani che in Egitto ammazzano soldati e poliziotti e scacciano dalle loro case i cristiani del Sinai, mentre piazzano bombe nelle chiese del Cairo e di Alessandria. Sunniti erano i terroristi che in Tunisia colpirono al Museo del Bardo e sulle spiagge di Susa nel 2015, e sunniti pure gli oltre 7mila giovani tunisini che sono corsi ad arruolarsi nell’Isis. Sunniti i lupi più o meno solitari che colpiscono in Europa. Sunniti i movimenti armati che fanno regolarmente strage in Asia, compreso quel Bangladesh dove nel 2016, in un ristorante della capitale Dakka, sette giovani armati uccisero venti persone, tra le quali nove italiani. Sunniti sono persino i terroristi che, di tanto in tanto, se la prendono con l’Arabia Saudita e la sua casa reale, ovvero con il Paese che nel 2009 il segretario di Stato Usa Hillary Clinton definiva “la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo” (documento 131801 tra quelli pubblicati da WikiLeaks”). E si badi bene: nel mondo.

Ribadito quanto si diceva all’inizio, e cioè che nemmeno l’Iran e i movimenti sciiti possono chiamarsi fuori quando si parla dell’uso della violenza in politica, resta una sola conclusione. Affermare che la piaga del terrorismo origini soprattutto dal mondo sciita è, oggi, una colossale bugia. Che può servire solo a due scopi: ingannare il mondo e garantire via libera a chi, da decenni, è invece il primo a fomentare e finanziare gli armigeri del terrore.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

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