In crisi e' solo la globalizzazione neo-liberale

Cosa intendiamo con globalizzazione? Secondo la Treccani, con globalizzazione si intende un “termine adoperato, a partire dagli anni 1990, per indicare un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo” [1].


Se effettivamente diamo al termine “globalizzazione” il significato della Treccani, e in particolar modo quando essa afferma “a partire dagli anni 1990”, è più che comprensibile che in Occidente tale parola venga vista con estremo sospetto da parte di tutte quelle fasce sociali che, dalla fine degli anni 80 ad oggi, hanno visto il loro tenore di vita o diminuire o, comunque, non aumentare.

Ma la verità, come spesso accade, probabilmente si trova a metà strada. In Occidente, dai primi anni 90 in poi, le oligarchie economiche e finanziarie hanno potuto agire in maniera indisturbata senza alcun timore di ripercussioni serie per i loro affari. Fino a quando c’era l’URSS, il timore di una rivoluzione nei paesi occidentali era viva e vegeta. Questo obbligava gli oligarchi europei a concedere sempre più diritti al resto della popolazione. Venuta meno l’Unione Sovietica e i partiti comunisti di massa in Occidente, e quindi il timore di una rivoluzione socialista negli stati europei, il neoliberismo, partendo anche dalle capitali europee, è arrivato in buona parte del globo, riuscendo a colonizzare terre dalle quali era stato cacciato decenni prima.

A questo punto si deve tornare, per forza di cose, a cercare di capire cosa si intende con globalizzazione. Noi abitanti della terra del XXI secolo non siamo assolutamente i primi a vivere la globalizzazione. Nel XVI, quando gli imperi europei colonizzarono buona parte del globo, non era globalizzazione? Un prodotto dalle Indie finiva su una qualche tavola a Londra o a Lisbona. O pensiamo a quando Marx scrisse il Manifesto del Partito Comunista. A metà XIX secolo Marx scrive: “la borghesia si è infine conquistata, con l’affermazione della grande industria e del mercato mondiale, un dominio politico esclusivo nel quadro del moderno Stato rappresentativo” e ancora “il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia su tutta la faccia della terra. Ovunque essa deve insediarsi, ovunque stabilirsi, ovunque allacciare collegamenti” per poi proseguire con “attraverso lo sfruttamento del mercato mondiale, la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi” [2].


Quindi, cari concittadini del XXI secolo, la globalizzazione non è un processo di questi ultimi anni. Il mondo è globalizzato già da parecchio.


Possiamo però riconoscere il come viene portata avanti la globalizzazione. Sicuramente quella che il ceto medio occidentale ha vissuto negli ultimi 20/30 anni è stata percepita in maniera assolutamente negativa (difficile che tale sentimento rimanga senza comprensione anche da parte di chi, in Occidente, ha beneficiato della globalizzazione). Ma vi sono tante globalizzazioni.

Pensiamo alla collaborazione tra popoli.

Tale situazione non è possibile intenderla come “globalizzazione”? La realizzazione di strutture non sovranazionali ma internazionali come la “AIIB” (Asian Infrastructure Investment Bank) [3] o la “NDB” (New Development Bank) [4] sono elementi di una nuova e diversa globalizzazione. Una globalizzazione che non calpesta gli interessi dei singoli Stati. Non obbliga i parlamenti a votare misure che porterebbero solo alla fame del proprio popolo (ogni riferimento a quanto compiuto dall’FMI alla Grecia non è casuale). O ancora, si pensi al progetto della “One Belt, One Road” a trazione cinese [5], un’enorme progetto che dalle coste del Pacifico occidentale arriva fino alle coste dell’Oceano Atlantico orientale. Questa è globalizzazione. Certo, non è la globalizzazione neoliberale che ha raso al suolo buona parte dello stato sociale che in Occidente si era costruito, ma è pur sempre globalizzazione.


Vi è quindi la necessità di distinguere tra diverse globalizzazioni. Quella neoliberale, che ha come unico fine quello di aumentare il profitto di pochissime multinazionali e che porta con sé miseria, fame, guerre, migrazioni forzate di popoli e distruzione di intere culture, e quella basata sulla reale cooperazione tra popoli, la quale valorizza le differenze e porta i popoli alla cooperazione. Quest’ultima non può assolutamente essere vista come un male. Possiamo chiamarla in un altro modo ma si tratta pur sempre di rendere più interconnesso il mondo.


Il problema non è la “globalizzazione”. Il problema è come essa viene attuata. Prendiamo l’esempio della Cina. Negli ultimi 35 anni le politiche portate avanti da Pechino hanno fatto sollevare dalla povertà oltre 700 milioni di persone. Anche questa è globalizzazione, con la differenza che invece di essere gestita da, come direbbe Marx, “un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese” [6], è stata e viene tutt’ora portata avanti dal Partito Comunista Cinese.


Qualcuno potrà ritenere che opporsi alla globalizzazione non sia sbagliato. Forse, ma di certo è qualcosa di praticamente inutile. È come voler tornare alla realtà medievale dove ogni 10 km si doveva pagare dazio per passare. Ah già, qualcuno vorrebbe farci tornare a questo…

[1] https://goo.gl/1wkUtx
[2] https://goo.gl/8CBvIs
[3] https://goo.gl/uDY9po
[4] https://goo.gl/arH6jf
[5] https://goo.gl/GUkkwJ
[6] https://goo.gl/8CBvIs

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