"Andrà tutto bene" se Amazon mette in ginocchio i piccoli commercianti?


di Francesco Erspamer* - ControAnalisi


È chiaro che il paese riaprirà, anche se questo comportasse decine di migliaia di morti. I popoli sono sempre stati disposti ad accettare un simile prezzo per proteggere le proprie abitudini, se no non ci sarebbero mai state guerre, che con quella scusa giustificano stragi e distruzioni.

È la condizione umana, acutamente descritta da Machiavelli nel capitolo XVII del Principe: “li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio”. Il realismo politico non è un’ideologia, è la condizione della politica: benché ci sia un’incolmabile differenza fra chi accetta il prezzo da pagare dopo aver provato ad abbassarlo il più possibile, come Conte, e chi illude la gente (che peraltro vuole essere ingannata) che non ci sarà nessun prezzo da pagare, come Salvini, Meloni, Renzi e i loro seguaci. Quindi tranquilli: si riaprirà presto e si resterà aperti, magari falsificando le cifre come appunto si fa in guerra per tenere alto il morale.

Negli Stati Uniti già accade: bisogna cercare nelle pagine interne dei giornali per sapere che la stessa amministrazione Trump (che vuole aprire tutto) prevede tremila morti al giorno per l’inizio di giugno o che nel solo mese di aprile ci sono state più vittime che in otto anni di Vietnam; mentre a marzo i titoli davano quotidianamente il conto dei morti italiani per denigrare il governo e il M5S.

Però cosa avremmo fatto se il virus avesse avuto una mortalità dieci o cento volte più alta, e non solo fra gli anziani e i malati, che per molti rampanti è quasi bene che scompaiano perché poco produttivi? Possibile che la società di gran lunga più opulenta della Storia non sia in grado di assorbire qualche mese di carestia? Possibile che si trovi più in difficoltà di quando le risorse complessive erano enormemente inferiori, le tecnologie primitive, la scienza inesistente? In altre parole: cosa ne è stato del progresso, della ricchezza senza precedenti creata in decenni di frenetico sviluppo? Immense riserve accumulate dalla natura in milioni di anni sono state dissipate in un paio di generazioni; ogni anno dissipiamo più di quanto il pianeta riesca a produrre, e sempre più avidamente: per cosa, se alla prima piccola difficoltà ci accorgiamo di non avere alcun margine?

Ricordo i miei nonni e genitori: se le cose andavano bene, mettevano da parte tutto quello che potevano, consapevoli che la stagione delle vacche grasse non sarebbe durata indefinitamente. Quando è morta mia madre ho trovato nei suoi armadi lenzuola e coperte nuove, ancora impaccate, comprate mezzo secolo prima per non farsi trovare impreparata. È quel senso di fragilità, che si traduceva in umiltà e prudenza, a essere scomparso, o forse no, ma certamente a essere deriso come economicamente se non politicamente scorretto. Anche in Italia, l’egemonia ce l’ha il liberismo all’americana, con la sua ideologia dello spreco.

Liberismo significa consumismo estremo, basato sulla presunzione che una crescita perenne è possibile, auspicabile e necessaria, e che la mano invisibile del Mercato o la Provvidenza tecnologica risolveranno ogni eventuale problema. “Andrà tutto bene”, amano ripetere molti, emuli del Pangloss di Voltaire. Così si consente ad Amazon, alle grandi catene, ai megacentri commerciali, di mettere in ginocchio i piccoli negozi indipendenti costringendoli a rinnovarsi e fare debiti per non venire spazzati via; lo stesso con le piccole e medie imprse; e nel frattempo si rottamano i vecchi mestieri, le antiche tradizioni e culture, le sagge pratiche di resilienza. Sono decenni che economisti, giornalisti e intellettuali liberisti nonché politici alla Pannella, Renzi, Salvini, ci dicono che la tecnologizzazione (quella di Apple e di Google, che crea bisogni per i propri prodotti, non che soddisfa reali bisogni umani) è un destino manifesto e irreversibile e che, certo, chi non saprà adattarsi verrà spazzato via ma per i vincenti si aprirà un brave new world di nuove occasioni e nuove professioni. Invece si tratta di una folle corsa dietro mode istantanee, accelerate dall’obsolescenza programmata dei prodotti, delle idee, dei costumi, in nome della deregulation e dell’appiattimento sull’attualità.

Così se la crisi colpisce non resta che accusare lo Stato, che fino al giorno prima era un ostacolo al diritto all’edonismo individuale, e sacrificare i più deboli. Ma siamo in tanti a essere deboli e altre tragedie ci aspettano: quando arriveranno, si tratterà solo di riuscire a sopravvivere, anche al prezzo della dissoluzione dei più profondi legami umani, come raccontarono le straordinarie pagine di Tucidide , Boccaccio, Manzoni sulla peste? O non sarebbe meglio prepararsi già ora, stroncando le oscene ineguaglianze e inutili sprechi che stanno imbruttendo la Terra e rendendola ostile malgrado gli straordinari progressi scientifici e tecnologici? Non sarebbe meglio imparare tutti a risparmiare e comunque togliere a chi ha troppo, in modo da creare scorte di beni e di cultura che ci permettano di affrontare in condizioni di forza le future, inevitabili sfide?

Dobbiamo tornare capaci di lungimiranza e previdenza, dunque di imparare dalla Storia per progettare un avvenire sostenibile; come ammonisce l’Allegoria della prudenza di Tiziano e la scritta dietro le tre teste simboleggianti la vecchiaia, la maturità e la giovinezza: Ex praeterito praesens prundenter agi ni futuram actionem deturpet, “sulla base del passato il presente agisce prudentemente per non guastare l’azione futura”.

*Professore all'Harvard University

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