Il nuovo Badoglio

24 Marzo 2021 13:00 Francesco Erspamer

Draghi è il nuovo Badoglio. Due “tecnici” privi di alcuna esperienza politica e in realtà ostili alla politica (il primo un banchiere, il secondo un generale, dunque identica mentalità) messi a settant’anni suonati a capo del governo in un momento d’emergenza da cordate di miliardari e aspiranti tali, di grandi imprese nazionali e internazionali, e di membri della casta, certo non per risolvere davvero i problemi bensì per impedire che vengano risolti con interventi non convenienti alle dette cordate. Leggetevi le biografie dei due personaggi: Badoglio, già corresponsabile di Caporetto, per regalare l’Etiopia e l’impero al fascismo e ai Savoia non esitò a usare armi chimiche proibite (ma non fu mai punito, anzi); Draghi per raggiungere i parametri necessari per l’ingresso dell’Italia nell’euro promosse (da direttore generale del Ministero del tesoro!) la privatizzazione dell’IRI, dell’Enel, dell’Eni, di Telecom e in sostanza la resa dello Stato alle multinazionali.
L'obbedienza ai poteri forti paga.
I primi quarantacinque giorni di Badoglio primo ministro, fra il 25 luglio (caduta del fascismo) e l’8 settembre (quando fu reso pubblico l’armistizio segretamente firmato cinque giorni prima), furono caratterizzati da una vergognosa latitanza del governo, impegnato a mettersi al sicuro e preoccupato solo di prevenire qualsiasi movimento di popolo e azione della sinistra socialista e comunista. Come scrisse Paolo Spriano, l’inettitudine di Badoglio si espresse nella millanteria nei confronti degli Alleati, a cui prometteva coperture che non era in grado di dare, nelle persistenti trame con i tedeschi, e soprattutto nel sostanziale disprezzo nei confronti del popolo italiano, trattato “come una massa di iloti da ingannare e neutralizzare”.
Meno tragica la situazione di oggi (anche se nel 2020 il Covid ha mietuto più vittime di quante ne avesse fatte la guerra nel 1942) ma nei primi quarantacinque giorni di Draghi, a parte il condono agli evasori e la libertà condizionale ai boss mafiosi, c’è stato un identico vuoto di idee, di coraggio, di considerazione per gli italiani, massa di iloti da tenere all’oscuro e manipolare, a evitare il pericolo che qualche vera riforma possa irritare i vincenti e le banche. Con l’approvazione di Mattarella come nel ’43 ci fu quella di Vittorio Emanuele II, e ovviamente dei giornalisti, che almeno allora erano asserviti per paura mentre adesso lo sono per avidità.
Benché alla fine la responsabilità, se non la colpa, è come sempre della gente. Piegare la testa o, peggio, farsi piacere quello che sarebbe faticoso o rischioso contrastare, significa renderlo possibile. Per questo vi propongo il paragrafo seguente, scritto dalla clandestinità, alla fine del 1943, da Concetto Marchesi, grande latinista e ex rettore dell’Università di Padova, ai cui studenti si indirizzava ma per raggiungere tutti gli italiani di buona volontà. Era un appello all’azione, alla solidarietà e alla lucidità che mi sembra particolarmente necessario in questi giorni:
Una generazione ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria; vi ha gettato tra cumuli di rovine; voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione e ricomporre la giovinezza e la patria. Traditi dalla frode, dalla violenza, dalla ignavia, dalla servilità criminosa, dovete rifare la storia dell’Italia e costruire il popolo italiano. Non frugate nelle memorie e nei nascondigli del passato i soli responsabili di episodi delittuosi; dietro i sicari c’è tutta una moltitudine che quei delitti ha voluto o ha coperto con il silenzio o la codarda rassegnazione, c’è tutta la classe dirigente italiana sospinta dalla inettitudine e dalla colpa verso la sua totale rovina.

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