Il Bangladesh sull'orlo della guerra civile

Dopo la sentenza di condanna a morte emessa ieri dal discusso Tribunale dei crimini internazionali contro il vice presidente del partito islamista Jammat, Delwar Hossain Sayedee, il Bangladesh rischia di precipitare sull'orlo della guerra civile. Subito dopo l'annuncio del verdetto, i manifestanti musulmani membri del partito hanno espresso la loro rabbia ed almeno 35 persone sono morte negli scontri con la polizia. Secondo il presidente dell'organizzazione umanitaria Ain O Salish Kendra, Sultana Kamalsi, si tratta del giorno più violento dalla guerra d'indipendenza del 1971. Secondo il bilancio offerto venerdì da Afp, che ha ascoltato fonti della polizia, il bilancio delle vittime deve essere aggiornato a 52 con i nuovi scontri ripresi venerdì. Si teme un'ulteriore degenerazione per le diverse manifestazioni indette dalle organizzazioni mussulmane nel giorno della preghiera e vietate dalla polizia.
Sayedde è la terza persona ad essere condannato - dopo Abdul Quader Molla, altro leader del partito islamista d'opposizione ed il noto clericale musulmano Abul Kalam Azad – per crimini contro l'umanità commessi in relazione alla guerra d'indipendenza del 1971. Sayedee, in particolare, è stato ritenuto colpevole di guidare una milizia pakistana ed essersi macchiato di omicidi e stupri contro l'etnia indù. Jamaat ha rigettato il verdetto come motivato politicamente ed accusato la polizia di aver ucciso suoi 50 sostenitori "innocenti".
Il Tribunale speciale di crimini internazionale è stato creato dalla Lega Awami al governo per processare cittadini del Bangladesh, accusati di aver collaborato con le forze del Pakistan durante la guerra secessionista del 1971. Il governo stima che circa tre milioni di persone siano stati uccise durante la guerra d'indipendenza. Tra gli accusati diversi leader del partito Jamaat ed un ex ministro dell'opposizione del partito nazionalista del Bangladesh (BNP). L'azione della Corte, non riconosciuta dalle Nazioni Unite, è ferocemente criticata dall'opposizione, che la giudica una vendetta politica da parte del governo Hasina, e da molti osservatori internazionali che denunciano la mancata garanzia dei diritti minimi processuali agli accusati.

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