di Antonio Di Siena
È l'alba del 4 ottobre 1993, dieci carri armati dell’esercito russo circondano la Duma, sede del parlamento, su ordine del nuovo presidente Boris Eltsin.
L’obiettivo sono i parlamentari occupanti, la cui colpa è quella di opporsi allo scioglimento del parlamento da parte di Eltsin, atto giudicato illegittimo e incostituzionale, e sostenere come legittimo presidente Aleksandr Ruckoj.
Alle ore 8.00 i carri armati aprono il fuoco sui piani superiori di quella che fu la sede del Soviet Supremo.
Ne seguono violenti scontri di piazza fra la polizia e gli oltre 100.000 manifestanti scesi in strada a sostegno dei parlamentari ribelli.
Morirono centinaia di persone fra cui una decina di parlamentari caduti sotto i colpi di cannone.
E così, nel tripudio dei media occidentali, veniva repressa nel sangue la ferma volontà del popolo russo di fermare la svolta capitalista, già iniziata con Gorbatchev, e di ritornare al socialismo.
Con quello che fu a tutti gli effetti un sanguinoso colpo di Stato nasceva la nuova e democratica Russia. Una democrazia di stampo occidentale in cui tornavano prepotentemente alla ribalta problemi che si credevano risolti da decenni come disoccupazione e miseria, e la scomparsa della sanità universale, del diritto alla casa e all’istruzione gratuite.
Il PIL russo crollò del 50%. L’industria (insieme alle sconfinate risorse energetiche) fu privatizzata perdendo per sempre la sua competitività. E finendo nelle mani di quelli che di lì a pochi anni diventeranno potenti oligarchi miliardari.
E quella che un tempo fu la seconda potenza mondiale, costruita col sudore e il sacrificio di milioni di onesti lavoratori, veniva svenduta a suon di bombe e violenza per portare la democrazia.
Oggi più che mai è molto importante ricordare questi eventi. Proprio mentre i sempre solerti liberali di casa nostra ci istruiscono sui “crimini” del comunismo e lo equiparano alla barbarie nazista.
Dimenticando sistematicamente di raccontare tutta la violenza che si scatena ogni volta che serve schiacciare i diritti dei lavoratori per esportare la “vera” democrazia e la “vera” libertà.
Quelle del libero mercato.
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