In 20 anni milioni di espatriati ma la questione salariale resta tabù

29 Settembre 2023 17:00 Pasquale Cicalese


Ieri l'Istat certificava che l'indice di fiducia delle imprese è ai minimi di novembre 2020 (periodo covid al massimo). Il sole 24 ore scriveva nei giorni scorsi che, diversamente da quanto si afferma, la stagione turistica è andata male mentre oggi scrive che le bollette elettriche aumentano del 18%. Lo spread è a 200, i buoni del Tesoro quasi al 5% con aggravio interessi sul debito e dunque sui conti pubblici. Ecco, se ci occupassimo di queste cose, invece di regalare privilegi alle minoranze delle società quotate e altre amenità, oppure di andare in tv dicendo che andiamo meglio di Germania e Francia, forse potremmo pensare alle cose serie. Intanto non si sa come stanno vivendo i milioni di ex percettori di Rdc ora soppressi, o gli esodati del Superbonus, o coloro i quali, scrissi giorni fa, non onorano i prestiti dati con garanzia statale nel periodo covid. Sempre ieri l'Istat certificava che la situazione corrente (indice di fiducia) delle famiglie italiane sta nettamente peggiorando. 15 giorni fa un noto economista, che voi stessi leggete, e che non cito, mi disse al telefono: il 2024 sarà terribile.

Spesso leggevo i report Migrantes della Caritas, immigrati ed emigrati. Nell'ultimo rapporto si legge: "Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell'87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori. In generale la presenza italiana in questi anni è passata da 3,1 milioni a oltre 5,8 milioni. La mobilità per la sola motivazione dell'espatrio è invece cresciuta, nel periodo in esame, del 44,6%.". Sono numeri e cifre impressionanti se si considera anche che non tutti decidono di registrarsi all'Aire. E quindi mi chiedo: possibile che chi comanda non si ponga il problema, che forse dopo 30 anni un aumento salariale anche parziale fosse necessario, visto che, nell'ultimo trentennio, sono addirittura calati del 3% con potere d'acquisto crollato? Per me era sbalorditivo che governi e patronato non si interrogassero, a lungo, sulle conseguenze del sistema paese capitalistico. E' non è da poco: mancano ingegneri, medici, infermieri, ricercatori, gli stessi camerieri e tantissimi figure, spesso di alta qualificazione. In un sistema capitalistico il fattore lavoro è decisivo ai fini di competitività, produttività totale dei fattori produttivi, salto tecnologico, in definitiva una crescita equilibrata, che in 20 anni, a parte gli ultimi due, non c'è stata. Solo la Caritas si poneva il problema, ecco sono credenti, aiutano chi è ai margini, soccorrono in un contesto in cui il welfare è stato smantellato. Ecco perchè parlo di guerra e non di lotta di classe del patronato, diversamente da quanto sostiene l'altro giorno il manager che ho pubblicato nella sua recensione al libro, pur definendomi "pittore della lotta di classe". Sarebbe ora che tutti ci ponessimo questo problema.

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