Eurozona, i limiti reali e psicologici che frenano lo stimolo fiscale

Nonostante la temporanea sospensione delle regole di bilancio europee e il fatto che la BCE si è vista, sempre temporaneamente, obbligata ad agire come una “vera” banca centrale, la politica di bilancio degli Stati dell’eurozona, e in particolare dell’Italia, rimane tutt’ora vincolata sia da limiti “reali” – ovverosia la natura temporanea degli interventi della BCE e dunque la reticenza dei governi ad accumulare un debito “eccessivo”, in previsione di un ritorno, già annunciato, delle “normali” regole di bilancio –, sia da limiti “psicologici”, soprattutto (ma non solo) per quello che riguarda la classe dirigenza italiana, ovverosia il terrore reverenziale di assumere qualunque decisione che possa essere giudicata negativamente dalle istituzioni europee (come per esempio uno “stimolo fiscale” superiore al limite massimo tacitamente consentito).

Lo stimolo fiscale discrezionale messo in campo dal governo italiano, infatti, ammonta ad un risibile 5 per cento del PIL (come confermato dall’ultima Nota di Aggiornamento del DEF), a fronte di un calo del PIL nel 2020 nell’ordine del 10 per cento.

Molto meno di quanto fatto da tutti gli altri paesi avanzati (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Giappone, Australia, Nuova Zelanda ecc.), come si può vedere nell’immagine, che si basa sui dati del Fondo monetario internazionale (FMI).

Non è un problema solo italiano. Come si può notare, anche gli Stati dell’eurozona nel complesso hanno realizzato in media uno stimolo fiscale nell'ordine del 5 per cento del PIL: molto meno di quanto ha fatto la maggioranza dei paesi che dispongono della sovranità monetaria.



Insomma, come diciamo da tempo, un paese la sovranità monetaria o ce l'ha o non ce l'ha. Avere un guinzaglio un po' più lungo non rende liberi, ma solo degli schiavi un po' meno oppressi.

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