Biden vince e le coscienze del panorama politico statunitense si tranquillizzano



di Tommaso Minotti

La vittoria, risicata e contestata, dell’esponente del Partito Democratico fa tirare un sospiro di sollievo all’establishment sia liberal sia repubblicano. Nonostante un Trump battagliero e un risultato finale tutt’altro che scontato. Ma ciò che conta, per i dem e per una parte cospicua del Great Old Party, è la sconfitta di The Donald e la sua partenza dalla Casa Bianca.


Una scheggia impazzita


Prima di affrontare queste elezioni con un taglio più generale bisogna obbligatoriamente concentrarsi su Trump. Un presidente che, bisogna ammetterlo, ha ottenuto buoni risultati in campo economico, certo aiutato dalla ripresa avviata già sulla fine della presidenza Obama. Ha anche avuto un buon impatto sulla politica estera, soprattutto nei rapporti con la Russia e con la Corea del Nord. Trump ha però rischiato di compromettere il suo buon disegno strategico con l’assassinio abominevole di Soleimani e il brusco raffreddamento dei rapporti con l’Iran. Ma, aldilà dei risultati della sua presidenza che possono essere discussi lungamente, si deve segnalare un dato di fatto: è stato il presidente più attaccato della Storia statunitense. Non è passato un giorno senza che venisse tartassato. Piccola specifica: Trump è un personaggio grottesco, volgare ed estremizza certe caratteristiche dell’americano medio ma contro di lui c’è stato un bombardamento mediatico. Prima lo scandalo sessuale, già visto con Clinton e Kennedy. Poi il Russiagate, rivelatosi senza fondamenti. Infine il BLM e lo scandalo delle tasse. Trump è stato criticato molto di più di, per fare un esempio tra i molti, Bush Jr. Un presidente che, insieme alla totalità della sua amministrazione, ha fabbricato prove false per invadere una Nazione inventando di sana pianta armi di distruzione di massa che non aveva. Tale invasioni ha causato morti e devastazioni. Ebbene, un tale presidente è stato meno attaccato di Trump. Perché? Perché Trump è un errore del sistema di potere americano, una scheggia impazzita appunto. Inviso al suo stesso partito, odiato dai democratici per il suo rifiuto del politically correct. Ha avuto il grande merito di attirare qualche voto della classe media bianca in crisi e della working class degli Stati Centrali, la stereotipata “America profonda”. Un’intera fetta di società dimenticata dai democratici, che hanno traslato i loro interessi elettorali sulle élite dello costa orientale e occidentale, ma arrabbiata e pronta a seguirlo. Trump ha quindi cooptato il voto di chi vive nella povertà, escluso dal sistema economico ma riuscendo comunque a far registrare profitti altissimi ai super ricchi del Nuovo Continente. Ma Trump ora ha perso e il suo ciarlatanesco “hic manebimus optime” della notte delle elezioni lo ha fortemente penalizzato.


Il debole vincitore


Biden ha vinto a un prezzo molto alto. Per riuscire a strappare la presidenza ha dovuto coinvolgere le masse, un evento non frequente nella storia americana. I democratici hanno ampiamente sfruttato il movimento BLM. E ora? Se le manifestazioni si placano viene confermata la sensazione che fossero aria fritta mista a un po’ di caos per esautorare The Donald. Se andranno avanti significa che sono sfuggite al controllo del partito e Sleepy Joe si troverà con una gatta da pelare non indifferente. Ci auguriamo che accada la seconda. Bisogna poi tenere d’occhio Kamala Harris. La vicepresidente è un cosiddetto falco, che ha idee molto dure e bellicose nei confronti di Russia e Cina. Si spera non prevalga la sua visione, c’è in gioco la pace mondiale in un periodo di possibile conflitto dovuto alle tensioni inevitabili del post pandemia.

Qualche numero

Biden ha speso 790,193,382.80 milioni di dollari a fronte di 952,239,369.70 ricevuti da donazioni a vario titolo. Un paragone: nella campagna di Hillary Clinton del 2016, considerata faraonica, si raccolsero 609 milioni di dollari. Trump, dal canto suo, ha ricevuto 601,392,178.29 milioni di dollari e ne ha spesi 565,389,516.57. Due campagne elettorali davvero costosissime. Ma il dato interessante, che si può tranquillamente guardare sul sito https://www.opensecrets.org/elections-overview/industries, è che le dieci principali industrie finanziatrici danno più o meno lo stesso numero di contibuti ai candidati:

Industry

Overall Total

Total to PACs, Parties & Candidates*

To Democrats & Liberal Groups

To Republicans & Conservative Groups

Retired

$1,175,518,728

$1,032,292,362

$442,044,075

$585,967,837

Securities/Invest

$625,241,847

$255,720,448

$161,677,942

$94,498,463

Democratic/Liberal

$500,972,957

$239,810,564

$231,435,263

$137,775

Misc Finance

$349,761,527

$101,062,087

$62,658,506

$43,093,379

Real Estate

$332,002,540

$234,961,107

$110,577,224

$124,042,177

Lawyers/Law Firms

$265,445,380

$251,869,764

$210,007,835

$40,777,319

Education

$256,163,840

$237,461,235

$215,519,687

$19,573,721

Repub/Conservative

$210,575,522

$71,778,015

$67,298

$71,688,086

Health Professionals

$172,986,428

$143,234,271

$95,076,722

$48,945,819

Non-Profits

$159,078,813

$69,806,400

$53,474,102

$16,921,432

Misc Mfg/Distrib

$133,042,743

$58,320,560

$22,485,178

$35,793,404

In conclusione, la democrazia americana sfavorisce per sua stessa impostazione un’ampia partecipazione alle elezioni. il suo rigido bipartitismo promuove la conservazione e l’implemento dei poteri delle elites di ultraricchi. Le industrie più importanti foraggiano entrambi i partiti per essere sicure di avere i propri interessi tutelati. tutti questi sono segnali di una stagnazione negativa per il popolo statunitense e a pagare le conseguenze di questa situazione senza apparenti sbocchi saranno sempre i più poveri.

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