Dopo il disastro elettorale di Madrid, Pablo Iglesias si dimette, sancendo il "fracaso" (disfatta in spagnolo) dell'esperimento politico di Podemos.
Come vado sostenendo da tempo, Podemos si è avviata (sulla scia di Errejon, leader dell'ala destra fuoruscita dal partito, la quale, per inciso, è andata meglio, o meno peggio, di Podemos in questa tornata elettorale) sulle tracce del nostro M5S.
Del resto il disastro era scritto:
1) nella rinuncia a mettere radici nei territori, nei luoghi di lavoro e nelle scuole, privilegiando le campagne di opinione e il partito "leggero" sul modello M5S (quello che io definisco "comunicazionismo" e contro cui il mio amico Monereo protestava inutilmente da tempo);
2) nella rinuncia ad assumere una netta posizione di denuncia del ruolo antipopolare e reazionario dell'Unione Europea, preferendo adottare un blando "europeismo critico";
3) nella scelta di allearsi in posizione subalterna con il Psoe, ignorando il ruolo che questo partito ha costantemente svolto di "ala sinistra" del regime liberista e quindi sacrificando le parti più radicali del proprio programma politico;
4) nel cambiare il profilo del nemico principale: non più la destra moderata del PP ma l'estrema destra di Vox, puntando tutto sulla mobilitazione antifascista invece che su chiari obiettivi anticapitalisti, con il risultato che la destra "moderata" - che tanto moderata non è - trionfa, anche perché l'elettorato "classico" di Podemos, che rispondeva all'appello quando gli obiettivi erano gli stessi dei movimenti sociali come il 15M e le Mareas, è molto meno sensibile alle lusinghe di questa sinistra rosa pallido e politicamente corretta.
La via del declino è tracciata e somiglia malinconicamente a quella imboccata dai nostri grillini.
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